I due maggiori pensatori spagnoli del Novecento, Miguel de Unamuno e José Ortega y Gasset, abitano nei Campi Elisi, il primo dall’ultimo giorno del terribile 1936, il secondo dal 1955. In vita si combatterono accanitamente, incarnavano due idee e due fedi divergenti della Spagna. E oggi, dalla loro contrada di paradiso, continuano a litigare? Chi dei due aveva visto meglio il destino della loro patria, che era stata grandissima? Chi è giusto sia il riferimento ideale della nazione del 2012, spaventata dal default ma assai prospera rispetto a quella di un secolo fa?
Tutte le apparenze assegnano la Spagna dei nostri giorni a Ortega y Gasset, che fu il ‘partidario de la modernidad’, l’assertore della omogeneizzazione all’Europa, contro i miti e le eroiche fissazioni nazionali. Ortega era tutto Newton e Kant, tutto Illuminismo aggiornato, tutta fede in un progresso materiato di scienza, logica e tecnocrazia. La Spagna di oggi, lucente di grattacieli, di elettronica, alta velocità, finanza avanzata, ben più aeroporti dell’indispensabile e sperimentazioni temerarie alla Rodriguez Zapatero, sembra appartenere di diritto a Ortega, grande intellettuale madrileno, cattedratico di filosofia ma maestro di ‘filosofia pratica’, instancabile produttore di articoli giornalistici anzi comproprietario di un quotidiano, l’uomo che aveva intrapreso a lanciare un partito delle riforme liberali ed era stato nel pugno di progettisti e promotori della Repubblica del 1931.
Miguel de Unamuno- di cui ‘Internauta’ di settembre dice che “non parla alla Spagna d’oggi, di domani chissà”- fu più volte definito da Ortega ‘energùmeno espagnol’ e il suo pensiero energumenico. Per altri fu “genial tempestuoso” e “el mayor poeta romàntico de Espagna”. Il suo ‘vivir’ era ‘apasionado’ e ‘paradòjco’, la sua prosa ‘confesional’. I titoli delle sue opere maggiori erano straordinariamente intensi: Del sentimiento tràgico de la vida, Agonìa del cristianismo, Cristo de Velàzquez. Che potrebbe avere in comune con Unamuno la Spagna di un secolo dopo, costernata sì per le vicissitudini dell’economia ed i rimorsi dell’orgia consumista-edonista ma ormai pienamente ostaggio dell’ipercapitalismo (grazie anche a Gonzales e a Zapatero), catturata da una modernità dissacratrice del retaggio?
Unamuno fu il bardo della patria prostrata e dolorosa. Invece gli spagnoli d’oggi si sentono piuttosto europei in momentanee difficoltà, più che mai protesi a rientrare nei modi della prosperità. Non sentono che un romantico estremo possa rappresentare una nazione di portatori di credit cards. I nobili miti della grandezza storica, che Unamuno aveva maledetto per amore -dunque non ripudiato- avevano staccato la Spagna dall’Europa, cioè dall’oggi. Al punto che Manuel Azagna, il demiurgo laicista della Seconda Repubblica, uno degli statisti più falliti della storia contemporanea, aveva creduto di poter scandire lo scherno finale: “Nada puede hacerse (farsi) de ùtil y valedero sin emanciparnos de la historia. Como hay personas heredo-sifilìticas, asì Espagna es un paìs heredo-històrico”. Povero Azagna: presiedeva un paese che ricordava le parole di Carlo V: “El idioma castellano ha sido hecho (fatto) por hablar con Dios”. Non poteva essere più netto il contrasto tra il rettore di Salamanca, grecista, poeta e quasi un flagellante, e l’Ortega partigiano della contemporaneità, l’Ortega che aveva proclamato “Espagna no es nada; por su alma no han pasado ni Platòn nì Newton nì Kant” e “En Espagna no hay sombra (ombra) de ciencia”.
Messa così, l’anima della Spagna passata all’economicismo e alla razionalità appartiene a Ortega y Gasset, il quale visse sì il ‘patriottismo tragico’ della Generazione del ’98, ma aveva fede nell’educazione del popolo e nelle avanzate tecnologiche. La Spagna di oggi è tecnologica professa.
Tuttavia non tutti i giochi sono stati fatti. Forse il futuro non è del capitalismo, falso moltiplicatore della ricchezza, e del progresso dispensatore di felicità. Forse potrà esserci un ritorno agli ideali derisi dal malaugurato Azagna. Forse crescerà un comunitarismo solidale e austero, che inevitabilmente riprenda gli spunti vivi del socialismo ‘humanistico’. Se questo accadesse, chi sarebbe il riferimento storico, se non Miguel de Unamuno? Il quale in gioventù fu appassionatamente socialista e profeta senza speranza di una Spagna sorella dello spirito.
A.M.C.