LA METEORA FRAGA IRIBARNE

Come capo di uno dei partiti della Spagna fattasi democratica, Manuel Fraga Iribarne fu un fallimento. Se invece si prescinde dalla sua decisione di mettersi nel gioco del parlamentarismo postfranchista, egli fu il politico più colto e significativo di Spagna nella fase tra il 1962 (ingresso nel governo di Franco) e il primo ministero (1976) svincolato dal Caudillo, presieduto dall’abile Nessuno Adolfo Suarez. Già ministro del Movimiento, cioè sahariana in chief, Suarez seppe convertirsi nel primo presidente della Transiciòn alla democrazia. Fraga, vice premier e da molti pronosticato per il posto di Suarez, non volle servire sotto il brillante giovanotto, successore di Carlos Arias Navarro, uno dei principali luogotenenti del Caudillo.

Il partito che Fraga lanciò si chiamava Popular (così si chiama oggi sotto Rajoy) ed era il contrario che popolare: voleva federare le varie destre. Fraga non fece mistero, anche a livello scientifico, di riprendere l’operazione conservatrice di Antonio Canovas del Castillo, il quale governò a lungo la Spagna dopo avere nel 1876 restaurato la monarchia. Canovas fu il Giolitti, meno aperto, del parlamentarismo iberico; fu assassinato nel 1897 dal solito anarchico. I governanti suoi successori furono talmente inefficienti o sfortunati che nel settembre 1923 fu facile al generale marchese Miguel Primo de Rivera, capitano generale della Catalogna, abbattere il regime parlamentare in poche ore, senza spargimento di sangue. Instaurò una bonaria ‘Dictadura’ legale che durò fino al 1930, sempre appoggiata da un largo consenso popolare (notabili e intellettuali a parte). Collaborarono apertamente i socialisti, allora un partito onesto, e il Dictador ricambiò attuando una parte non piccola del loro programma. Fu sul punto di fare di loro il partito unico del regime.

Quando Primo de Rivera prese il potere, il sistema politico della Spagna era un malato terminale: peggio del nostro del 2012, con in più un terribile conflitto sociale. Governava un’oligarchia di notabili liberal-conservatori, a volte corrotti, sempre tesi agli interessi che rappresentavano, tutti indifferenti alla miseria del proletariato. Nelle campagne le famiglie dei braccianti non mangiavano tutti i giorni dell’anno. Spesso non si permettevano un pasto serale. La previdenza sociale e la sanità pubblica non esistevano. Quando arrivavano le malattie e i lutti non c’era che la mendicità. Metà della popolazione era analfabeta. Lo scontro sociale non poteva che essere estremo: nel quinquennio che precedette il golpe di Primo ci furono quasi 1300 attentati, di cui 843 nell’area di Barcellona. Nel 1922 gli scioperi politici erano stati 429. Nel maggio-giugno 1923 -il golpe venne in settembre- lo sciopero generale dei trasporti aveva fatto 22 morti. Si aggiungeva un’aspra guerra coloniale in Marocco.

Dopo la tragedia del 1898 (disfatta nella guerra con gli USA, perdita dell’impero) il pensatore Joaquin Costa, iniziatore del Rigenerazionismo, aveva invocato un ‘cirujano de hierro’, un chirurgo di ferro che amputasse le cancrene. Primo de Rivera fu il chirurgo: chiuse le Cortes, cestinò la Costituzione, affidò ad ufficiali tutti gli organismi pubblici, fece gestire la politica economica a José Calvo Sotelo, un trentaduenne intelligente e molto coraggioso (infatti morì assassinato nel 1936, e la scintilla fece esplodere la Guerra civile). Il generale si applicò quotidianamente a cambiare le cose e a farne edotti gli spagnoli. Il paese, intellettuali all’inizio compresi, accettò il golpe come salutare. La Dictadura mise subito fine alla guerra coloniale. La cooperazione col partito socialista chiuse lo scontro sociale e il terrorismo.

La maggior parte degli storici riconoscono l’efficacia dell’azione economica: la Dictadura costruì strade e case popolari, allargò l’elettrificazione e l’irrigazione, promosse tutte le attività produttive, creò i primi istituti e provvidenze del Welfare (pensioni, assistenza medica, sussidi ai disoccupati e ai poveri), aprì 4.000 scuole. Tutti gli indicatori, buona congiuntura internazionale aiutando, attestarono una prosperità senza precedenti, con un tasso di sviluppo del 5,5%. Per l’aspra opposizione degli agrari Primo non riuscì a dare terra ai contadini, a parte un piccolo programma; però i braccianti miserabili cominciarono a lavorare nelle città (e questo inferocì i latifondisti: la meccanizzazione era infante, perciò l’esodo dei braccianti li danneggiava sul serio). I proletari ebbero assicurato il pane che prima era stato così precario.

L’euforia finì verso il 1929, quando la Grande Depressione si fece sentire un po’ anche in Spagna, e soprattutto diventò schiacciante un debito pubblico molto dilatato dagli ambiziosi programmi di sviluppo e sociali. Il generale, marchese e Grande di Spagna, aveva speso troppo per le plebi che amava, che aveva beneficato materialmente e di cui condivideva il temperamento e le passioni. Amave danzare coi gitani. Quando arrivava un’entrata imprevista, assegnava modeste doti nuziali alle ragazze povere. In una terra di assassinii, andava in ufficio a piedi sapendosi amato. Come massimo consigliere sulle cose del lavoro aveva preso il capo sindacale Francisco Largo Caballero, il futuro ‘lenin spagnolo’ che nel 1937 sarà il penultimo capo di governo della Repubblica ormai rossa. I latifondisti e le destre economiche non  perdonarono al Dictador di avere di fatto redistribuito parte della loro ricchezza. Minato dal diabete e assillato dalla minaccia della bancarotta, nel 1930 Primo lasciò il potere spontaneamente; morì sei settimane dopo in un modesto hotel parigino.

Gli storici concordano: fu un regime di attacco agli assetti tradizionali (del resto la famiglia dei Primo vantava vari generali che nelle guerre carliste avevano parteggiato contro i conservatori). Il Dictador fu una specie di Gracco, alto aristocratico e tribuno della plebe. Avendo neutralizzato il parlamento e i partiti -tranne quello socialista- il Tribuno/Dictador potè dall’alto modernizzare il paese e aiutare nel concreto i proletari, la borghesia minuta e la nascente tecnocrazia. Furono i privilegiati che combatterono accanitamente e poi abbatterono il Dittatore. Rifiutando il liberismo conservatore, fermando l’anarchismo e punendo l’egoismo dei ceti privilegiati, Primo fu il migliore governante spagnolo degli ultimi due secoli.

Cadde a causa del suo disprezzo per quelli che chiamava i ‘politicastros’ liberali e per gli ‘autointellectuales’ di sinistra; più ancora per le destre ottusamente reazionarie ed egoiste. I suoi oppositori non furono mai appoggiati dal popolo: il popolo aveva ricevuto molto dalla dittatura e avrebbe ricevuto assai poco dai politici progressisti quando, a partire dal 1931, instaurarono la loro repubblica. Infine la Dictadura non oppresse né perseguitò gli avversari. Quelli che si esposero più direttamente furono colpiti da multe. Le carceri non si riempirono; non fu fascismo.

Nel momento di entrare nell’agone politico -fin’allora aveva fatto il meritocrate- Manuel Fraga Iribarne avrebbe potuto avere in Primo de Rivera un precedente, un patrimonio e un retaggio di prima grandezza: l’opzione del riformismo energico, fattivo e guidato efficacemente dall’alto, senza politici professionisti. Fraga Iribarne avrebbe dovuto riprendere l’opera innovatrice e giustiziera dove il generale l’aveva lasciata, e portarla più avanti. Avrebbe dovuto proporre modernizzazione e riforme etiche, da fare assieme alla maggioranza sociologica, consonando con le istanze e i valori di quest’ultima. Oltre a tutto l’eredità del Dictador era stata rilanciata e ‘sublimata’ dall’idealismo temerario del figlio José Antonio, fucilato nel 1936, fondatore sì della Falange filofascista ma anch’egli mosso da slanci solidali e di giustizia, anch’egli spregiatore delle imposture della democrazia. Lo stesso franchismo vittorioso della Guerra civile dovette fare propri in qualche misura, attraverso il messaggio di José Antonio, i contenuti popolari del regime primorriverista. Gli spunti di retaggio e di innovazione che si offrivano a Fraga Iribarne erano abbondanti e vividi, anche a volere rinnegare in tutto l’eredità del franchismo, dal quale pure era stato catapultato al vertice. Ricordiamo: la vera Transiciòn dall’autoritarismo fu realizzata da Adolfo Suarez, ex-ministro del Movimiento. Non avrebbe potuto affrontare il futuro un Fraga continuatore di Primo de Rivera, il governante più saggio e il più sincero amico del popolo dai primi dell’Ottocento, quando la Spagna inventò a Cadice il liberalismo progressista?

Invece Fraga Iribarne scelse di lasciarsi portare dalla deriva democratica, con un partito dei banchieri e delle duchesse, senza alcun titolo di nobiltà ideale, senza una storia positiva, senza potenziale di elaborazione e immaginazione, senza candidatura a sperimentare. Fu solo una puntata legittima dal punto di vista dei professionals della politica e degli opinionisti loro soci. Fu la pessima tra le puntate, anche vista dalla sponda della Realpolitik: un paio di competizioni elettorali perdute e Fraga, che aveva titolo a succedere a Franco, si trovò ridotto a notabile della gestione periferica e dei maneggi politici minori.

Tali erano state l’intelligenza, la cultura e la creatività passate -al servizio delle svolte modernizzanti di Franco- che noi continueremo a raccontare Fraga Iribarne: l’uomo che si giocò la grandezza per adeguarsi, abbassandosi, agli altri: agli edificatori della scadente partitocrazia spagnola, solo un po’ meno ladra della nostra, figliastra di quella che Primo de Rivera aveva sbaragliato in poche mosse, per amore del popolo.

Antonio Massimo Calderazzi