Viva la libertà di pensiero. Quasi commoventi la coralità e compattezza con cui il quasi intero mondo della stampa e il grosso della classe politica si sono rumorosamente schierati a difesa di Alessandro Sallusti e di quel sacrosanto valore, incompreso e comunque calpestato dalla magistratura. Un vero peccato che col lamentevole caso del direttore già di “Libero” e poi del “Giornale” la libertà di pensiero non abbia nulla a che fare. Lo hanno sostenuto e agevolmente dimostrato, insieme ai soliti giustizialisti impenitenti e recidivi professionisti dell’antiberlusconismo, personalità insospettabili come Piero Ostellino e Vittorio Feltri.
Il primo (cui siamo lieti di rendere onore almeno per una volta) è sì tornato a scagliare (“Corriere della sera” del 6 ottobre) i rituali fulmini contro la cultura illiberale che macchierebbe da sempre l’Italia sul versante politico come su quello giudiziario. Consentendo, nella fattispecie, la permanenza dello spirito e talvolta delle stesse norme del Codice Rocco nella nostra legislazione e la punizione con il carcere del reato di diffamazione. Ma, senza neppure dover ricorrere a citazioni di qualche pensatore inglese del ‘700, l’ex direttore del “Corriere” ha sentenziato senza mezzi termini che nel caso Sallusti appunto di diffamazione si era trattato, non di espressione di chissà quale pensiero e neppure di libertà di informazione, che va tutelata ma non conferisce alcun diritto di diffamare chicchessia.
Ostellino denuncia in proposito l’“obbrobrio giuridico” di una legge che non ha riscontro in altri ordinamenti più democratico-liberali nei quali la diffamazione, perseguibile solo civilisticamente e non penalmente, non viene punita con la privazione della libertà ma scontata con una pubblica smentita e il risarcimento pecuniario della parte lesa. E addita quindi proprio la legge vigente come pietra dello scandalo suscitato dalla condanna, anche se sembra non escludere la possibilità per il giudice in questione di pronunciarne una diversa in base a una diversa interpretazione.
Lo stesso Sallusti, per la verità, conferma (“il Giornale” del 27 settembre) che il suddetto giudice gli avrebbe offerto, con una sorta di trattativa privata, l’alternativa di pagare la libertà con una multa. Il fiero giornalista l’avrebbe però respinta al pari di un affidamento ai servizi sociali a scopo rieducativi, proclamando che i suoi genitori avevano già fatto al riguardo un “lavoro più che discreto” del cui esito, se fossero ancora vivi, sarebbero orgogliosi. Ostellino, che trascura questo dettaglio, essendo uso a volare alto non si sofferma neppure su un altro non proprio irrilevante.
Sallusti era corresponsabile ex officio di una diffamazione commessa da un collaboratore del suo giornale, Renato Farina, reo confesso, a posteriori, di avere scritto il falso. Non aveva quindi controllato come previsto il relativo articolo oppure lo aveva comunque pubblicato ben contento che coprisse di fango un magistrato. Senza contare, poi, che il Farina, celato fino a ieri da uno pseudonimo ma ben noto al direttore, era abusivo in quanto espulso a suo tempo dall’ordine dei giornalisti per avere collaborato anche con i servizi segreti, venendo tra l’altro premiato dal PDL con il laticlavio di senatore.
Sulla congruità della responsabilità oggettiva di un direttore di giornale si può naturalmente discutere, così come si può sottoscrivere l’opportunità di mantenere la perseguibilità penale della diffamazione, che persino nella Russia di Putin è oggetto di contestazione anche in campo governativo. Ma il problema, dunque, si pone appunto sul terreno legislativo e non su quello giudiziario, mentre nel caso specifico non è possibile ignorare o addirittura capovolgere un problema etico, personale, di non modeste dimensioni.
Sul primo punto Vittorio Feltri si spinge più in là di Ostellino. Nel suo articolo su “il Giornale” del 27 settembre afferma infatti che convalidando la sentenza di primo grado i magistrati della Cassazione “si sono limitati ad applicare con rigore una legge fascista, demenziale, ecc.” Perciò, dice di non sognarsi neppure di attaccare i giudici e si scaglia invece contro chi ha esercitato il potere legislativo nel peggiore dei modi, sostenendo che “sia la maggioranza di centrodestra sia quella di centrosinistra non sono state capaci di affrontare il problema”, per risolvere il quale modificando il codice penale basterebbero non più di tre mesi di tempo.
Precisa quindi Feltri che “fra tutti i politici, quelli del Pdl si sono rivelati i peggiori” perché in quasi vent’anni di attività parlamentare non hanno avuto la forza di dedicare un’oretta” alla bisogna e per di più, “appresa la notizia della galera per Sallusti, alcuni hanno gioito” avendo “individuato un tema efficace su cui impostare la campagna elettorale”. Rincara infine la dose muovendo a Berlusconi, suo datore di lavoro, il rimprovero di “non essersi mai occupato, se non a chiacchiere, del caposaldo di ogni libertà: la libertà d’opinione”. E conclude comunque con un perentorio “siamo tutti Sallusti”.
Mah. Il direttore del “Giornale”, sempre sul numero del 27 settembre e nell’articolo di prima pagina elegantemente intitolato “In Italia più che gli euro mancano le palle”, annuncia le dimissioni dalla carica spiegando che “il foglio delle libertà non può essere guidato da una persona non più libera di esprimere ogni giorno e fino in fondo il proprio pensiero perché in carcere o sotto schiaffo”. Si dichiara vittima di una “porcata” per colpa anche di Napolitano (al quale si rifiuta perciò di chiedere la grazia), che “nel suo settennato nulla ha fatto di serio e concreto per arginare quella magistratura politicizzata che…vuole fare pulizia anche nei giornali non allineati”. E per colpa altresì di Monti, ugualmente responsabile, “complice il suo sostanziale silenzio e il suo immobilismo…della sentenza più illiberale dell’Occidente”.
Benchè successivamente accolto da una standing ovation in un’assemblea del Popolo delle libertà, l’ultimo martire della libertà di pensiero inveisce adesso contro i “cialtroni” che malgrado l’emergenza non sono riusciti a varare in extremis quella modifica del codice penale che avrebbe sventato la minaccia della galera. Sulla cialtroneria, ovviamente trasversale, nulla da obiettare, e come potrebbe essere altrimenti in presenza della spettacolo che stanno offrendo le forze (si fa per dire) politiche nazionali. Ma per il resto no, non siamo tutti Sallusti.
Nemesio Morlacchi