DUE CONTRANNIVERSARI

Quest’anno abbiamo due ricorrenze meno innocue del 150.mo dell’Unità; due ricorrenze che il Colle festeggerà con meno passione. Fanno 67 anni che Napolitano entra nel Pci, diventa segretario della federazione napoletana e si identifica col togliattismo. Soprattutto fanno tre quarti di secolo che il terrore staliniano si fa estremo. Quell’anno, 1937, Palmiro Togliatti è secondo segretario del Comintern, cioè il numero Due dell’organizzazione comunista internazionale; e il capo del partito italiano identifica se stesso e i suoi seguaci con i delitti di Stalin. Quei delitti in particolare che finiscono coll’annientare fisicamente l’intera leadership espressa dalla Rivoluzione d’Ottobre e decimano i quadri direttivi del comunismo centro-europeo.

Gli storici fanno ascendere a vari milioni le vittime totali dello stalinismo. Togliatti è certo innocente della fame che sterminò i contadini e delle forzature inumane della collettivizzazione (nel 1928 le aziende collettivizzate erano l’1,7%; nel marzo 1930 erano il 58%; nel 1940, il 97%) e dell’industrializzazione accelerata. E’ innocente della schiavizzazione dei 24 milioni di russi trasferiti nelle città e delle disuguaglianze all’interno della classe operaia, superiori che in qualsiasi altro paese. Forse è innocente dell’universo dei gulag. Non è innocente delle purghe nel partito comunista tedesco e in quello polacco, quest’ultimo addirittura disciolto. E delle ferocie che seguirono fino alla morte del Hitler georgiano.

Nel giugno 1934 un decreto dispose l’arresto dell’intera famiglia nel caso uno dei suoi componenti venisse smascherato come ‘nemico del popolo’. Nel dicembre successivo, l’assassinio di Kirov, capo del partito a Leningrado, scatenò un’ondata di esecuzioni e deportazioni. Nell’agosto 1936 furono fucilati 16 nemici del popolo tra cui Zinoviev e Kamenev. Nel gennaio 1937 muoiono Radek, il maresciallo Tuchacevskij, molti generali e ventimila ufficiali. Nel 1938 l’ultimo dei grandi processi: mettendo a morte Bucharin e altri 17 dirigenti,  Stalin ha distrutto l’intero gruppo degli artefici della Rivoluzione. Un’immensa rete di gulag imprigiona milioni di persone, molte delle quali non sopravvivono. Le grandi purghe fanno morire numerosi comunisti stranieri riparati in Urss, tra i quali due-trecento italiani.

A partire dalla promozione a secondo segretario del Comintern Palmiro Togliatti è consapevole di abbastanza crimini di Stalin da risultare egli stesso un criminale. Egli non poteva non sapere, dunque era corresponsabile. Non raggiungeva gli estremi di ferocia degli Jesov e dei Manuilski: ma non rifuggiva dall’inneggiare al corso atroce dello stalinismo. L’uomo che in Occidente la cultura di sinistra ancora esalta come un raffinato intellettuale si identificava con le azioni più scellerate. Per esempio Togliatti fu presente alla riunione del Presidium che condannò Bela Kun, l’uomo della repubblica dei soviet ungheresi. Togliatti firmò col proprio nome alcune delle esaltazioni più smaccate delle atrocità staliniste. Scriveva nell’ottobre-novembre 1936: “E’ appunto perché l’Urss è il paese della democrazia più conseguente, che i partiti estremisti della reazione e della guerra  concentrano contro l’Unione Sovietica attacchi furiosi. I banditi terroristi, smascherati grazie alla vigilanza degli organi di sicurezza dello stato proletario e annientati dalla giustizia proletaria, non furono altro che lo sviluppo della lotta disperata contro l’Urss. Coloro che hanno annientato i banditi terroristi si sono resi benemeriti di fronte all’umanità intera. Il processo di Mosca è stato un atto di   difesa della democrazia, della pace, del socialismo, della rivoluzione (…) Non esiste al mondo che un solo tribunale i cui componenti e la legge cui si conforma offrano una garanzia assoluta di equità: è il tribunale proletario, opera giuridica della Rivoluzione” (Da l’Internationale Communiste , n.10-11, oct.-nov. 1936, Bureau d’Editions, Paris). La stessa crudeltà metterà il Migliore nel magnificare gli omicidi dei gappisti, specificamente quello che uccise il filosofo Giovanni Gentile.

 

Nel 1953 Palmiro Togliatti definirà Stalin “un gigante del pensiero: col suo nome sarà chiamato un secolo intero”. Fino al 1964, quando  Togliatti morì, il primo ventennio della carriera comunista di Giorgio Napolitano si svolse interamente nel quadro del togliattismo. Nel 1956 il Capo promosse il giovane deputato napoletano nel Comitato Centrale. Il 1956 fu anche l’anno in cui l'”Unità” togliattiana definì “teppisti” gli insorti ungheresi e Napolitano elogiò l’intervento dei carri sovietici (“Ha contribuito non solo a impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma anche alla pace del mondo”). Pietro Ingrao testimonierà sulla “soddisfazione” di Togliatti per l’invasione dell’Ungheria. Più tardi il Migliore proverà a scusarsi: “Si sta con la propria parte anche quando sbaglia”.

Tra cinque anni si compirà un secolo dalla Rivoluzione d’Ottobre. A Napolitano auguriamo una vita abbastanza lunga e vegeta da poter sovrintendere, da presidente rieletto oppure emerito, a un ciclo di grandi celebrazioni, adeguate alla portata decisiva dei cento anni in cui campeggiarono Stalin e Togliatti,  L’Uomo del Colle garantirà senza dubbio l’obiettività dei festeggiamenti. Henry Kissinger non lo definì “my favourite Communist”? Ed Egli stesso non usa dichiarare “giusta” la guerra dei droni americani nell’Afghanistan, altrettanto utile alla pace mondiale quanto l’intervento sovietico in Ungheria?

A.M.C.