CONTRO GLI SCANDALI DELLA POLITICA, COMMISSARIARE TUTTO

Che il miglior governo italiano degli ultimi decenni – tale ritenuto unanimemente all’estero e a in maggioranza anche in patria – non sia stato eletto dai cittadini, dovrebbe farci riflettere. Che personaggi come Francone Fiorito, il Batman del Lazio (citiamo lui ma gli esempi potrebbero essere molteplici), siano campioni di voti e preferenze, dovrebbe farci preoccupare. Che addirittura il Corriere della Sera, uscendo dal consueto ruolo di Bella addormentata, se ne renda conto, è ai limiti dell’allarmante.

Non pochi articoli sono usciti in questi ultimi giorni in cui si sottolinea chiaramente che il problema non è nel parlamento dei nominati, non solo e non tanto. Il problema è la classe politica locale, votatissima, che gozzoviglia senza remore alla faccia nostra e della crisi. E pensare che proprio i politici locali dovrebbero essere quelli che i cittadini sono maggiormente in grado di “controllare”. Pare vero il contrario. Coi soldi, coi favori, con il “chiudere un occhio”, i politici controllano i voti dei cittadini (tanto ne bastano relativamente pochi, migliaia, per governare regioni e comuni popolati da milioni di abitanti) e si garantiscono la poltrona.

Allora ammettiamolo candidamente: il problema è lo scambio che sta alla base del voto democratico. In una società dove si sono perse ormai da decenni le idee, non solo le ideologie, i meccanismi della politica – specialmente quella locale, ma non solo – sono sempre più simili a quelli del mercato del bestiame. Un vile mercanteggio al ribasso tra persone che, spesso né da una parte né dall’altra, pensano di dover fare gli interessi della collettività, ma al contrario ritengono di dover barattare il mantenimento dello stipendio con una serie di favori e promesse.

Non vogliamo spazzare via con un rapido colpo di spugna la democrazia rappresentativa fondata sul suffragio universale? Va bene, allora si predisponga una procedura di commissariamento molto più efficace e rapida di quella attuale. Si garantisca che il commissario sia un tecnico estratto a sorte da una lista predeterminata di persone qualificate e incensurate, prive di conflitti di interesse e che mai potranno ricoprire il medesimo incarico per via elettiva. Si attribuiscano a tali commissari tutti i poteri necessari, e gli si dia un tempo adeguato, per risanare i bilanci, fare le giuste riforme (specie quelle impopolari), le infrastrutture (senza appalti e favori agli amichetti) e purgare legislazione e istituzioni dai rispettivi obbrobri. Soprattutto, se ne faccia un impiego massiccio, rendendo necessarie poche severe condizioni per procedere al commissariamento.

La democrazia rappresentativa non può essere buttata a mare senza un secondo pensiero. Si può però trovare un accordo per cui essa dura fintanto che funziona. Quando non ottiene più i risultati (e in termini di economia e servizi si potrebbero fissare standard e obiettivi programmati), viene – in parte – commissariata. In fondo è esattamente quello che sta accadendo in seno all’Unione europea. Fintanto che un Paese col proprio sistema democratico tiene i conti in ordine, la Ue non interferisce. Se un Paese elegge per 20 anni dei farabutti (o dei semplici incompetenti, o dei populisti di ottimo cuore e pessimo cervello) e si ritrova col sedere per terra, mamma Ue arriva a salvare la situazione con una montagna di soldi. In cambio impone, surrogando la classe politica nazionale, il calendario delle riforme e degli obiettivi da raggiungere.

Perché non emulare, e in modo molto più drastico visto che la nostra è una comunità nazionale e non ci sarebbero problemi di sovranità dello Stato, questo stesso meccanismo all’interno dell’Italia?

Tommaso Canetta