CHIUDERE ILVA, ALCOA, CARBOSULCIS E SAPER VIVERE CON 700 Euro

Mai siamo stati confrontati più brutalmente dal dilemma se chiudere o no un impianto industriale che produce stipendi, perdite e tumori. A chi non padroneggi gli aspetti tecnici -è veramente possibile disinquinare in grande la siderurgia di base? è cosa fattibile senza fermare la produzione?- non resta che considerare tassativo l’obbligo di chiudere l’Ilva di Taranto. E’ mostruoso esigere la perpetuazione del disastro ambientale -delle patologie gravi- perché non si sospendano i redditi. E non ha senso chiedere al contribuente, come all’imprenditore, di mantenere alcuna fabbrica che non ha mercato o produce perdite. Se anche non inquinasse, l’impianto sardo di Alcoa non andrebbe salvato, come non andava salvato Termini Imerese. Carbosulcis è rifiutato dall’Enel, unico cliente concepibile, e la Regione Sardegna non ce la fa più a sussidiare una produzione inventata o allargata in un contesto d’autarchia.

Invece tutti i lavoratori dei livelli modesto e medio, anche dell’indotto, che non siano protetti da questa o quella provvidenza, vanno certamente sussidiati a medio termine, due-tre anni. P.es. 700 euro per famiglia, con una piccola aggiunta per ogni figlio minore. La metà per il lavoratore single (ma non inferiore l’aggiunta per ogni figlio minore). I sussidi dovrebbero essere uguali per tutti, dall’ultimo operaio al dirigente, sempre che quest’ultimo non sia anche azionista, nel qual caso niente 700 euro. Dunque molti dovranno cambiare stile di vita, in modo da campare con 700 al mese (ottenere i quali sarà conseguimento non da poco). Dimenticare gli agi e le fissazioni del passato, per modeste che fossero le villette, le vetture e i consumi proletari. A quelli del ceto medio  sventurato non resta che accettare il regresso nella povertà. I disoccupati che si associassero per sopravvivere, magari per intraprendere insieme, andrebbero aiutati come possibile.

Per dirne una. Chi perderà il reddito di lavoro e riceverà il solo sussidio non sarà in grado di pagare il mutuo o l’affitto della casa. Dovrà ‘scendere di casa’, rinunciare alla rispettabilità piccoloborghese dell’alloggio individuale con soggiorno, cucina e servizi propri, magari con garage o posti macchine. L’alloggio individuale di oggi, al livello minimo tanto meno spartano che un tempo, costa troppo. Per non cadere nella mendicità o nella disperazione i disoccupati definitivi si associno in progetti abitativi parzialmente comunitari. Magari su terreni o in capannoni dismessi dalle aziende -i capannoni hanno sfigurato il Paese, meriterebbero l’abbattimento- sono spesso possibili progetti di multihousing: ciascuna cellula abitativa individuale prevederebbe  solo ambienti notte, con una cucina abitabile minima e un WC-doccia elementare. 25 mq totali invece di 80 consentirebbero soluzioni abitative economicamente possibili,  persino più gradevoli che in passato, grazie alla messa in comune di ambienti soggiorno, cucine moderne, lavanderie, veri bagni e simili. Turni di utilizzazione scongiurerebbero i mali, anche gravi, della convivenza. Peraltro se una sala soggiorno comune assomiglia a una hall alberghiera, l’utilizzazione insieme non è impossibile. In comune anche un limitato numero di mezzi di trasporto: non auto individuali, ma un ristretto numero di auto condivise a turno, con risparmi ingenti. Una parte importante degli acquisti essenziali va fatta collettivamente, comprando all’ingrosso o alla  fonte. Gli inoperosi loro malgrado dovranno ingegnarsi per sopravvivere.

Per i senza lavoro long term le alternative all’alloggio di tipo solidale (semicomunitario) sarebbe solo l’ospitalità caritatevole di parenti, amici e benefattori: prospettiva veramente ardua, precaria all’estremo. Non è soluzione tenere aperte manu militari Ilva Alcoa e Carbosulcis.  Che poi, verosimilmente la grande siderurgia e altre produzioni inquinanti o antieconomiche spariranno in ogni caso da paesi  come il nostro, sovrapopolati e dai costi non competitivi. Meritano la solidarietà caritatevole i sottoproletari del Bangladesh, non i semi-borghesi Ilva Alcoa Carbosulcis.  Segmenti sociali non piccoli dovranno ripensare la vita, tenendo presente come si campava un tempo. La difesa tradizionale del job e del tenore di vita sarà cosa del passato.

Bologna, ancora una volta, è pioniera con un’interessante valorizzazione della struttura condominio. Lì cinquanta o sessanta condominii funzionano già come semi-comunità: o hanno istituito il/la badante condominiale (chi ne usufruisce paga in rapporto alle ore utilizzate), oppure fanno in comune il grosso della spesa (con risparmi del 40%). Onore al senso pratico e alla vocazione comunitaria dei bolognesi.

l’Ussita