ALTI INSEGNAMENTI DEL PENSIERO GRAMSCISTA – CRITICA A LUCIANO CANFORA

Membro non solo di un organismo autorevole, Institute for the Classical Tradition, ma anche di un altro così così, la romana Fondazione Istituto Gramsci, il brillante filologo e storico Luciano Canfora si è lanciato tempo fa sul ‘Corriere’ in un autentico esercizio di bravura: dire e non dire, vilipendere e difendere i ‘topoi’ del presente e morente discorso politico. Una volta mi scrisse d’essere stato rallegrato da un opuscolo “il Pericle elettronico” che a lui studioso della grecità avevo mandato, opuscolo che denigrava il più accanitamente possibile le istituzioni e le idee obbligate del marasma politico a noi contemporaneo. E’ dunque certo che al prof. Canfora l’ideologia demoparlamentare piace come al cane la cipolla. Però deridere apertamente la convenzione risalente ai Padri costituenti non si usa, o costa fatica. Ed ecco che Luciano Canfora lascia che lo si pensi condividere la critica tradizionale alla  “tirannia dei molti”, cioè ad ogni possibile formula di democrazia diretta, ormai matura e attuale dopo un paio di secoli di tedio del parlamentarismo. Canfora stesso appare riferirsi più volontieri alle conquiste dell’arcontato di Solone (594/3) che a quelle della Seconda Repubblica italiana.

Il filologo della Fondazione Istituto Gramsci premette ad altri ragionamenti un plauso a Solone per avere insegnato “che non si deve rischiare di cadere in schiavitù per debiti”. Questo rischio non è oggi molto attuale, però il plauso a Solone gli viene utile per poter deplorare “i finanzieri del tempo nostro, nonché i responsabili delle strutture bancarie, che sull’altrui indebitamento prosperano”. Altra scappellata al politicamente corretto: “Una forte corrente di pensiero politico moderno nella seconda metà del sec.XX, su impulso di una figura notevole come F.Mitterrand, pose il problema della cancellazione del debito di alcuni paesi del Terzo e Quarto mondo”. Canfora sorvola sulle spese militari, sulla corruzione e sul saccheggio dei politici che hanno fatto gigantesco il debito del Terzo e Quarto mondo.

Messa a verbale la propria conformità alla “forte corrente di pensiero politico moderno”, Canfora ammette che “tirannide è parola dal significato in origine non negativo” e che era stato il demo di Atene (il popolo sovrano) “ad attribuire all’abile demagogo Pisistrato una guardia del corpo armata come strumento e garanzia di potere”. Sottolinea pure “che la tirannide nascesse da un significativo consenso popolare era però fenomeno imbarazzante”. E inoltre: “La diretta gestione del potere da parte dei detentori della piena cittadinanza è tutt’altra cosa rispetto alla procedura elettiva che .produce una rappresentanza”. E qui uno si aspetterebbe -abbiamo detto sull’esperienza di due millenni e  mezzo dopo Solone- la pura e semplice constatazione che la “procedura elettiva” perpetua l’oligarchia della Casta: il Mob o Mafia dei politici di professione. Invece il discorso di Canfora trascolora nella descrizione dei ‘doppi negativi di forme politiche positive (monarchia/tirannide, aristocrazia/oligarchia; democrazia/oclocrazia), col risultato di non dire ciò che andava detto: che il meccanismo elettorale è fraudolento,  attribuisce tutto il potere ai professionals della raccolta dei voti.

E d’altra parte Canfora riconosce che “questo arrovellarsi intorno al modo in cui la volontà popolare può lasciarsi deviare fino ad autodistruggersi è problematica nostra e sommamente moderna”. Cioè (interpretiamo noi): il congegno partitico-parlamentare non potrebbe essere più truffaldino; ma Canfora non insiste. Preferisce ricordare che “i critici della procedura decisionale a maggioranza, cioè democratica, opponevano la questione della competenza alla legge del numero”. Ecco completato così il recupero da sinistra dell’argomentazione oligarchica: dobbiamo gestire noi che sappiamo farci eleggere. Non abbiamo alcuna competenza aggiuntiva rispetto ai molti, moltissimi, che oggi studiano, viaggiano, forniscono saperi, intraprendono, dunque potrebbero esercitare la sovranità diretta; però noi sappiamo farci eleggere e sappiamo cooptare coloro che sapranno farsi eleggere. Canfora obietta qualcosa a questo autoperpetuarsi dei professionisti della rappresentanza? Sì: solo che le codificazioni costituzionali del secondo dopoguerra stiano “cedendo il passo al ritorno in grande stile al predominio di coloro che, intrinseci al mondo arduo della finanza, si pretendono competenti”.

Canfora sa benissimo che se il gioco politico tornerà presto in toto ai partitocrati, il risultato sarà ancora più cleptocrazia. Ma non lo dice: non è appropriato dirlo quando si appartiene alla Fondazione Istituto Gramsci, dove si suppone che il Profeta sardo non approverebbe il chiamare pane il pane e ladro ciascun professionista delle urne.

Che si impara infine da un maitre-à-penser gramscista? Che va bene tutto, compreso il predominio della finanza internazionale, purché non si intacchi il ruolo dei politici amici della sinistra intellettuale di Capalbio.

A.M.C.