Il Re degli Unni, che campeggia nella saga nibelungica e viene raffigurato dall’Edda come eroe forte e valoroso, è nella tradizione cristiana il Conquistatore selvaggio, il Flagello di Dio. Solo l’intervento divino permise a papa Leone Magno nel 452 di fermare la sua spietata avanzata e dissuaderlo dal devastare la penisola italiana. Evidente ed eroico il coraggio, leonino appunto, del pontefice: il sovrano unno avrebbe potuto far divorare dai cani l’indifeso pastore della cristianità; e forse i più antropofagi tra i suoi guerrieri turcomongoli avrebbero conteso ai molossi le povere carni del santo da Volterra. Purtroppo tre anni dopo Leone Magno non riuscì a scongiurare il sacco di Roma ad opera dei Vandali di Genserico.
Un fosco condottiero ma in fondo ammansibile è l’Unno della Bocconi, il famoso ateneo turcomongolo, reputato a livello di Yale. Minacciava ferocie e sfracelli inauditi contro una spesa pubblica che fa incombere il concordato preventivo. Annunciava la tabula rasa della realtà italiana, e a poco sarebbero servite le prodezze della Nazionale di Prandelli&Cazzullo. Ma è bastato un Leone Magno per fare quasi innocuo il capo unno, che mangia la carne cruda come i suoi invincibili arcieri a cavallo, disdegnosi di selle. Attila Monti aveva decretato la devastazione dei bilanci improduttivi o dannosi. Con la sua pesante spada avrebbe decapitato il Parlamento dei Gaglioffi, azzerato le province, cancellato mezzo milione di emolumenti, miriadi di consulenze truffaldine. A molti wishful thinkers dello Stivale aveva fatto sperare che cancellasse l’ordine degli F35, magari passandone la fattura al Pentagono, nel cui esclusivo interesse i servili Prodi Parisi D’Alema Berlusca e La Russa avevano ordinato i possenti cacciabombardieri. L’Unno aveva promesso, oltre a vaste dismissioni di immobili pubblici, un impegno implacabile sul fronte dell’equità (sacrifici sui contribuenti morti di fame ma sacrifici più dolorosi sui privilegiati, addirittura una patrimoniale da levare la pelle). Implicitamente aveva anticipato altre scorrerie nello stile devastatore degli Unni. Le categorie ridotte in miseria dal Salva Italia avevano estratto a sorte un Kamikaze in chief che fermasse Attila o morisse.
Quasi tutte le minacce sono sparite dalla spending review e da altri piani di battaglia dello Stato Maggiore turco-mongolo. Giulio Terzi di Sant’Agata, raffinato ministro del Devastatore unno, ha potuto dare ottime notizie sugli F35 ai padroni dell’aerospaziale USA, divenuti suoi amici sui campi da golf della capitale stellata. Gli storici si sono scatenati: chi è stato il Leone Magno che ha affrontato e ammansito Attila? Qualcuno ha banalmente azzardato Squinzi, il capitano d’industria bergamasco che senza peli sulla lingua aveva definito ‘boiata’ la riforma del mercato del lavoro. Qualcuno dà merito al leader dei presidenti di provincia, federatisi in patto di sangue per scongiurare l’abolizione delle loro mangiatoie. Cento e cento altre congetture.
La rivelazione è venuta dallo stesso crudo ma austero condottiero venuto dall’Asia estrema: “Mi sono arreso alle grazie di uno stuolo di olgettine ed escort, capeggiate dallo stesso Silvio Magno”. Palazzo Grazioli ha confermato: Attila non ha saputo contrastare un’improvvisa pulsione erotica, prontamente sfruttata dall’abilissimo Cavaliere attraverso Lele Mora. Gli F35, le grandi fortune, le comunità montane del Tarantino sono salve. Attila si è ritirato in Pannonia, e di lì proseguirà per i monti Altai.
Porfirio