Non vanno presi sul serio gli apocalittici che annunciano la crisi finale del capitalismo. Però, contro i tanti annunci secondo i quali la crescita arriverà, al più con un anno di ritardo, è prudente tenere presenti le valutazioni, pubblicate il 15 luglio da La Stampa, di Francesco Guerrera. Fino a dieci anni fa si occupava di finanza in Gran Bretagna. Oggi è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal. Per Guerrera il fatto centrale di questo tempo è “la crisi di fiducia nella finanza”, più grave di quel che usiamo pensare: “La più grande banca inglese, la Barclays, è stata la prima vittima del Libor-gate, uno scandalo enorme in cui decine di istituzioni finanziarie sono accusate di avere manipolato a loro favore i tassi interbancari. Traders senza pudore o autocontrollo si scambiavano tranquillamente idee su come truccare l’importantissimo libor, l’indice utilizzato per fissare il prezzo di circa 8 milioni di miliardi di prestiti e obbligazioni, dall’Alaska allo Zimbabwe”.
“Barclays ha pagato una multa di 450 milioni di dollari, ma il putiferio politico è costato molto di più. La cacofonia di inchieste parlamentari e di attacchi del governo contro le banche e le astrusità finanziarie ha lasciato il pubblico, non solo quello inglese, in stato confusionale sulla solidità del sistema finanziario. Quando Mr and Mrs Smith sentono il cancelliere dello Scacchiere dire che lo scandalo Libor è “l’epitaffio per un’era di responsabilità delle banche”, che devono pensare? Che tutti i banchieri sono corrotti, che il sistema è marcio, che non si salva più nessuno. A quel punto il materasso diventa un’alternativa appetibile alla Barclays, a Lloyds, a Citibank”.
“E se gli Smith si imbattessero negli americani Joe and Jane, avrebbero molto di cui parlare. Negli USA della disoccupazione altissima, del mercato immobiliare allo sfascio e dell’economia in coma, la fiducia di investitori e risparmiatori nei confronti di Wall Street è sotto zero. Il profilo becero del capitalismo anglosassone è in bella vista; le recriminazioni e le inchieste sono già iniziate, con le authority di settore sul banco degli accusati. Il danno più grave è stato già fatto alla psiche fragile degli investitori americani. Dopo le crisi del 2007-09, dopo il collasso di tre pilastri di Wall Street -Bear Stearns, Lehman Brothers e AIG, dopo la frode da 50 miliardi di Bernie Madoff, questa proprio non ci voleva. I numeri sono incontrovertibili: i piccoli investitori americani hanno disertato i mercati. Dall’inizio della crisi hanno venduto oltre 450 miliardi di azioni e reinvestito in buoni del Tesoro, o nei materassi. Il sogno americano di fare soldi coi soldi non funziona più, almeno per il momento. Tutti i sistemi di scambio, dai baratti della preistoria ai derivati di oggi, passando per eBay e Amazon, sono fondati sulla mutua fiducia tra compratori e venditori. Gli eventi di Londra mettono in dubbio il tacito contratto alla base della finanza mondiale. L’isteria dei politici, che raggiungerà livelli altissimi durante la campagna presidenziale, non fa altro che amplificare la paura della gente, la sfiducia dei piccoli risparmiatori in un sistema troppo grosso e complesso per essere comprensibile.
L’opinione pubblica vede solo nero. Non è incoraggiata dal fatto che, p.es. in Inghilterra, chi sbaglia paga, o che i fallimenti sono tutto sommato abbastanza rari tra le migliaia di aziende finanziarie americane. L’aria che tira non è buona. Senza la fiducia i mercati e il capitalismo non possono funzionare”.
La citazione è così lunga perché Francesco Guerrera suona sì l’allarme dalla redazione del Wall Street Journal, ma di fatto ammonisce gli apocalittici: non fare affidamento su una fine prossima del sistema. Esso sa punire chi sbaglia e i fallimenti della grande finanza sono piuttosto rari. Il sottoscritto non è apocalittico, ma avrebbe preferito non leggere le rassicurazioni de facto di Guerrera. Sarebbe giusto che l’ipercapitalismo crollasse: abbattuto soprattutto da un crescente disamore, anzi odio, della gente. Un po’ di speranza viene dal succitato materasso. Se non ci crescerà il malanimo, meriteremo l’ipercapitalismo, ci confermeremo ‘minus habentes’.
Anthony Cobeinsy