SHALE GAS: EUFORIA E TIMORI

Da una parte notizie sensazionali dagli USA, dalla Cina, dalla Polonia. Dall’altra diffuse resistenze, soprattutto ambientalistiche. La grande novità del ‘fracking’, contrazione di ‘hydraulic fracturing’, sta quasi capovolgendo le prospettive tradizionali degli idrocarburi. Con l’impiego combinato di esplosivi, tecnologie chimiche e acqua in forti quantità si rendono accessibili  da strati di roccia facilmente friabile che noi chiamiamo scisti ingenti volumi di metano (in certi casi di petrolio: ma si tratta di realtà diverse, ne parleremo a parte). A distanza di poco più di dieci anni da quando si anticipava che gli Stati Uniti avrebbero dovuto, per lo scemare della produzione interna, importare gas liquido (liquefied natural gas-LNG), oggi le compagnie del settore stanno premendo su Washington per essere autorizzate a esportare LNG; il relativo prezzo è sceso al minimo sul decennio, al punto che il colosso Exxon -profitti nel 2008, $45 miliardi- ha rallentato l’estrazione di metano in attesa di prezzi migliori. La Exxon, finora grandissimo produttore di petrolio, dedica metà delle sue operazioni al gas, metà al petrolio.

La Cina cui si accreditano le riserve di gas più importanti al mondo – si parla di 36 trilioni di metri cubi, contro 24 del Nord America, 22 dell’Argentina, 18 dell’Europa, 11 dell’Australia- ha annunciato investimenti nel gas che dovranno produrre entro il 2015 oltre 6 miliardi di metri cubi. A tal fine ha stipulato almeno una grossa joint venture con la Shell. L Polonia sembra in testa a livello europeo sia per le riverve, sia per l’estrazione. Il governo sembra avere offerto oltre un centinaio di concessioni. Ma sono gli Stati Uniti che hanno aperto la fase, se non addirittura l’era, di una cornucopia di metano che dotrebbe affrancare molti paesi dalla dipendenza dalla Russia, dall’Algeria, etc. A buon titolo gli Stati Uniti vantano d’essere stati pionieri e di avere beneficato l’intero settore mondiale dell’energia.

Tuttavia  si sono già levate le obiezioni e le aperte opposizioni al fracking, soprattutto per i pericoli, più o meno fondati, di contaminazione delle acque di falda e di fenomeni sismici. Negli USA le preoccupazioni, relative soprattutto alle acque, appaiono alquanto indebolite per l’euforia della prospettiva di una bonanza da LNG. In Europa, insediata dalla popolazione tanto più densa che il Nord America, sembra più sentito il timore dei pericoli sismici; coll’allargarsi della prospezione e dell’estrazione è prevedibile l’inasprimento dei contrasti. Le considerazioni ambientali hanno già indotto i governi di Germania, Francia e Bulgaria a vietare al momento il fracking. Nell’Inghilterra nordoccidentale la compagnia Cuadrilla Resources aveva già avviato le perforazioni, ma le ha sospese dopo che mesi fa si sono registrati due terremoti di debole intensità. Secondo il settimanale ‘Time’, la stessa compagnia ha attribuito al fracking i due fatti sismici A questo tipo di ostacoli si aggiunga che gli abitanti dei distretti metaniferi del Vecchio Continente non ricevono vantaggi diretti dalla valorizzazione della risorsa del sottosuolo,  visto che quest’ultima appartiene agli Stati. La situazione è opposta negli USA: i diritti minerari competono ai proprietari dei terreni.

Si è visto che anche in Gran Bretagna è  viva la vigilanza contro le insidie sismiche e di altro genere. Le riserve britanniche di gas vengono dette importanti, ma le stime resteranno poco attendibili fin quando il fracking non avrà inizio, quanto meno a titolo esplorativo.

Invece la Cina porta avanti senza esitazioni il programma ‘metano da scisti’, che prevede il passaggio da quasi zero oggi a 60 miliardi di metri cubi fra 18 anni. Nel 2011 Shell ha aperto una dozzina di pozzi, e ne prevede altrettanti quest’anno. La rivista ‘Time’ non ha dubbi: le opposizioni degli ecologisti non fermeranno il fracking nonostante le sue insidie: “Fracking is here to stay, scrambling a global energy picture that had long seemed settled. There’s no guarantee it will  be golden, but we’re definitely entering the age of gas”. Tale ‘picture’ usava essere lineare: il gigante planetario del metano era la Russia e le nazioni sviluppate dovevano accettare i prezzi dei produttori. Dovevano farlo anche paesi ex-satelliti come Polonia. Romania e Ucraina. Ora Mosca è preoccupata, in particolare per le ambizioni metanifere della Polonia ricca di gas.

Anthony Cobeinsy