Quando il terremoto si è fatto feroce, dalla Rete cioè dal popolo si è levato il grido “Niente parata del 2 Giugno”. Immediata la ripulsa del volitivo Comandante delle Forze armate (art.87 della “più bella delle Costituzioni”; in realtà essa è la nostra afflizione: quando la stracceremo?). La ripulsa: ‘La parata si farà. Più sobria, e dedicata ai lavoratori emiliani. Ma si farà’. Fuehrerprinzip rivisitato sul Colle. E così ai molti nostri problemi si è aggiunto quello dell’incapricciamento marziale dell’ex ufficiale di Stato Maggiore alle Botteghe Oscure. Oltre a tutto, egli non ha spiegato come mai in tempo di pace il Comandante può impartire ordini così imperiosi.
La parata, è ovvio, era da cancellare. Da cancellare anche lo sfarzoso ricevimento in Quirinale, offerto alla zavorra della capitale: diplomatici con la brillantina, generali quasi feldmarescialli a vittorie zero, consorti e compagne di sindacalisti, parenti dei mandarini, boiardi e ladri di Stato, ufficialesse culacchiette, politici tutti in immeritata libertà provvisoria. Si usa sostenere che la parata serve per onorare le Forze armate (“difendono la nostra sicurezza” ha precisato giorni fa il loro Supremo, sorvolando sull’inesistenza di insidie ad essa sicurezza), anzi per esaltare l’unità della nazione. Che le Forze armate rappresentino la nazione è un falso: molti, moltissimi detestano dette Forze; rappresentano la fazione patriottobellicista, non il paese. La lettura della Costituzione è troppo noiosa perché uno senta l’obbligo di controllare che la Carta non attribuisca ai militari funzione di rappresentanza nazionale, meno che mai quella di simbolo. Se attribuisse, sarebbe un’altra delle scadenti trovate dei Padri e Nonni della repubblica.
Semmai, trattandosi di repubblica ‘fondata sul lavoro’, dovrebbero sfilare in parata i lavoratori (non solo manuali, meno che mai solo sindacalizzati). Mille volte meglio i falegnami e i pescatori che i carristi, i pompieri che gli artiglieri, i maestri di scuola che i paracadutisti, i vuotatori di padelle ospedaliere che i piloti di F35. La verità è che da anni il Comandante uscente ed altri personaggi della sinistra archeologica hanno fatto proprie le tradizionali categorie militar-patriottiche del passato: in più hanno sviluppato un debole per le uniformi espresse dalle nostre eccellenze sartoriali, dall’estro degli stilisti e dalla vocazione al pavone del maschio italiano. Una volta assistetti nella massima base della RAF a un raduno importante di aviatori militari Nato. I nostri componevano un defilé di indossatori, capeggiati da un generale quarantenne biondo-oro, un efebo parecchio più bello di Apollo o di Paride, tuta volo di seta o raso, un Luigi XIV at his best. Poi arrivarono i piloti del più glorioso degli stormi germanici, quello di von Richtofen, il Barone rosso: le divise del comandante e di altri assi erano così spiegazzate, cadevano così male, che la povertà sartoriale della nazione più guerriera della storia mi parve punizione divina per avere trascurato l’alta moda, a vantaggio di una pedestre supremazia in tutto.
Avete notato, da non molti mesi, che certe nostre bande militari e drappelli cerimoniali vantano colbacchi che avevamo visto sotto Buckingham Palace, mai da noi? Magari portava colbacchi la Guardia del Ducato di Modena, o delle Due Sicilie, o del papa-re: perà prima dell’annessione al regno di Sardegna, la quale depresse la verve stilistica dei guerrieri dello Stivale. Chissà se il Comando supremo, alto sul Colle, ha avuto un ruolo nel raccordare il look delle nostre armate coi primati del Quadrilatero della moda. Manuel Azagna, capo dello Stato semicomunista spagnolo, dedicò tempo e impegno, quando la guerra civile andava verso la fine, sia alle nuove uniformi della Guardia presidenziale, sia ai roseti del palazzo presidenziale.
Ma forse il puntiglio su quella Parata che tanto gratificherà vedove, orfani ed altri pezzenti del terremoto non è stato solo del Marte supremo. P.L.Bersani inneggiò subito al “Si farà” di Giorgio. Inimmaginabile è il dispiacere che i nemici della Parata hanno dato e daranno, anche sotto forma di lazzi e cachinni, al Velista da Gallipoli, il quale mise tanto zelo a lanciare contro i serbi la nostra micidiale Air Force. E senza dubbio marziali sono stati nell’arcitribuna dei Fori Imperiali i sentimenti della Finocchiaro, la cui maschia voce di ufficiale vicino al vitalizio copre i belati pacifisti della foto di Vasto. Quando lascerà la reggia repubblicana (dove non sono arrivati sfollati emiliani, laddove Elena del Montenegro maritata Savoia voltò saloni della reggia a ospedali), l’Uomo che ha messo in fuga ogni molle sentimento pacifista dovrebbe lanciare, con D’Alema, Finocchiaro ed altri Clausewitz, una nuova formazione politica, perfettamente equidistante tra Obama e Mitt Romney e tra Cheney e Panetta: i Comunisti Atlantici. Porteranno avanti senza debolezze, sterminando ogni colomba della pace, il programma riferito pochi giorni fa dal ‘Wall Street Yournal’: vendere alla nostra Repubblica cor cordium missili e bombe a guida laser per armare sei droni Reaper per l’Afghanistan, dove gli USA rinunciano e dove i nostri Reaper uccideranno osservando rigorosamente il dettato costituzionale. Se così sarà, l’Italia di Napolitano e dell’ ammiraglio Di Paola sarà terza al mondo, dopo USA e Regno Unito, ad operare droni armati. La Bundeswehr se li sognerà. Il partito degli Atlantocomunisti contrasterà in tutte le sedi le dannose tendenze al disimpegno, fomentate dalla presidenza Hollande. Ma speriamo che Wall Street Journal sbagli.
Una cosa finale sia chiara. In altri anni la Parata di Napolitano serviva ad irrobustire lo spirito combattivo delle Forze che in Afghanistan e nel mondo ci proteggono dai nemici. Quest’anno, dedicata alle vittime del terremoto, ha invece ridato voglia di lottare e di vivere a vedove e orfani sventurati. Ad essi si è brindato nei giardini del Quirinale. Quasi tutti gli invitati, nel degustare paté e tartine repubblicane, si stringevano idealmente all’Emilia martoriata, con gli occhi rossi di lacrime.
Porfirio