SERVIVA UN GENERALE PER SMASCHERARE LA GUERRA IN AFGHANISTAN

Una delle requisitorie più efficaci contro l’impresa dell’Afghanistan, anzi contro tutte le guerre attuali delle Nazioni maiuscole, la dobbiamo a un generale di corpo d’armata, Fabio Mini, il quale comandò la forza Nato nel Kosovo. “Non si tratta di combattere il terrorismo globale tra le montagne afghane: non ci crede più nessuno”. Chissà come la metterà il suo Comandante supremo, quel presidente della repubblica il quale ha più volte proclamato che la guerra in cui siamo stati trascinati lì è “giusta” e, di fatto, democratica e progressista. Farà bene, il Comandante supremo, a scorrere tra i suoi arazzi e valletti il libro appena uscito del generale: Perché siamo così ipocriti sulla guerra?, editore Chiarelettere.

Il generale denuncia la menzogna secondo cui resteremo in Afghanistan dopo il 2014 (quando gli americani si ritireranno: ma porteranno avanti, qui come nello Yemen e altrove, operazioni clandestine tutt’altro che incruente) “per addestrare”. Menzogna che “da dieci anni maschera la nostra partecipazione alla guerra e giustifica il sospetto che sia un pretesto per continuarla”. Fingiamo, valuta Mini, di non vedere che gli americani “l’hanno già perduta. Sono stati sconfitti sul campo di battaglia nel 2003, quando dovettero coinvolgere la Nato per l’incapacità di gestire la violenza dei talebani e la corruzione del governo che avevano instaurato. Sono sconfitti ogni giorno sul campo dell’etica militare per l’incapacità di gestire l’eccesso di potenza”.

Quest’ultima, incapacità di gestire l’eccesso di potenza, è una delle analisi più penetranti sulla Nemesi che dopo F.D.Roosevelt e Kennedy condanna gli USA a fare guerre e, tutto considerato, a perderle. Gli Stati Uniti sono troppo colossali, dunque troppo tentati di sopraffare; però non sono all’altezza, anche in quanto poveri di retaggio e di intelligenza storica, nonché piuttosto incapaci.

Altri giudizi del generale colpiscono non tanto l’atlantismo ovviamente servile dell’età Berlusconi, quanto quello scervellato di Monti: “Ancora una volta si ricorre all’ipocrisia per giustificare interventi armati decisi da altri, scambiando la coesione con la piaggeria. Così staremo indefinitamente in Afghanistan, come in Iraq, in Libano e nei Balcani. E’ dal 1984 che un nostro contingente non rientra avendo concluso la missione. Abbiamo preso parte a tutte le guerre mistificate. L’ipocrisia delle operazioni umanitarie, della costruzione di nuove nazioni e dell’esportazione della democrazia si è affiancata a quella della guerra e molte volte l’ha sostituita. La minaccia della guerra si è trasformata in ‘minaccia della pace’, e molti guardano ad essa come ad una catastrofe incombente sui grassi interessi che la guerra garantisce”.

Non solo i Berlusconi, i La Russa, i G.Ferrara, anche i Prodi, i D’Alema, gli attuali occupatori del Quirinale e di Chigi, dovrebbero meditare i pensieri del guerriero raziocinante Fabio Mini. “La guerra nasce dai pretesti, quasi sempre basati su menzogne. I fautori politici, industriali e militari della guerra si sono inventati pretesti inverosimili per renderla preventiva e interminabile. L’ipocrisia ha reso permanente la guerra cambiandone il nome, agendo sulla pace, sulla democrazia e sulla libertà”.

Monti e Napolitano, diciamo noi, si ostinano a fornire ascari e materiali alle campagne di Obama -costi a ns/ carico- per scongiurare lo scemare delle commesse del Pentagono a Finmeccanica etc, e per non ingrossare i numeri della disoccupazione. Così facendo il primo rinnega la promessa di mettere anche l’equità, cioè l’etica, nell’azione di governo. Il secondo conferma, se mai ce n’era bisogno, il carattere fraudolento di un secolo, quasi, di campagne comuniste “per la pace”. Molto meglio se a smascherare il bellicismo ammantato di democrazia e di Costituzione è un generale di corpo d’armata, invece che un corteo pacifista con striscioni.

Pacomio