L’Afghanistan è una nazione di duri combattenti, ma finora chi prendeva sul serio ministri e politici di Kabul? Tra l’altro l’amministrazione del presidente Hamid Karzai è considerata molto corrotta. Ebbene da qualche tempo ci sono esponenti di Kabul che alzano la voce. Per esempio Zalmai Rassoui, ministro degli Esteri: “Quando sono arrivati, gli americani ci hanno fatto un sacco di promesse. Distruggeremo Al Qaeda e i talebani, dicevano. Ebbene il lavoro non è finito ma tolgono le tende. Com’è possibile che l’esercito più potente del mondo in dieci anni non abbia sconfitto un branco di talebani?”.
E il ministro della Difesa Abdul Rahim Wardak, a proposito della stanchezza dell’opinione pubblica in Occidente per la guerra afghana: “Anche noi siamo stanchi. Combattiamo da 30 anni. Nella lotta contro i russi abbiamo avuto due milioni di caduti. Il resto del mondo ha prosperato perché abbiamo tolto dalla circolazione migliaia di tank russi. Noi abbiamo dato il via alla distruzione dell’Urss. E gli americani non sono venuti qui perché ci amano, ma per difendere se stessi. Ora la Nato deve aiutarci a fare il nostro lavoro, passandoci una parte di ciò che risparmierà ritirandosi”. Il ministro della Difesa ha anche fatto una puntualizzazione incisiva quanto al basso rendimento della macchina bellica americana: “Un soldato Nato costa come 70 soldati afghani. Noi sappiamo come combattere. Da Alessandro Magno ai sovietici abbiamo sconfitto vari imperi. Ritiratevi pure, ma dovete sostenerci finanziariamente”. Discorsi insolitamente assertivi in governanti che sono Quisling al servizio dell’occupante.
Altro segnale antiamericano dall’Afghanistan e da altri paesi musulmani, la protesta per il rogo di materiale religioso, comprendente copie del Corano, ordinato dal comando della base statunitense di Bagram. Bilancio della protesta una ventina di morti, compresi almeno due militari statunitensi.
La fase più recente dell’impresa afghana ha visto, assieme alla determinazione di Washington di ritirarsi anche senza avere conseguito gli obiettivi, una singolare concentrazione dell’orgoglio nazionale sulle prodezze, definite straordinarie, dei Navy Seals, i reparti speciali che riuscirono, con un eccezionale spiegamento di uomini, mezzi e tecnologie sofisticate, ad uccidere il capo di Al Qaeda. L’ultima cover story di ‘Newsweek’ definisce “l’arma segreta di Obama” i Seals, teste di cuoio quali esistono ovunque. Soprattutto ‘Newsweek’ ha sparato in copertina l’immagine chiaramente artefatta di una carica di Invincibili accuratamente scelti tra fotomodelli e comparse di Hollywood.
Altri media degli States si sono invaghiti del ‘secret army’ di Obama, così come della sua intuizione di preferire i ‘drones’ e le ‘special, pinprick operations in the dark corners of American foreign policy’ alle ‘disastrous military occupations’. E’ dunque assodato che l’astro politico asceso da Harvard è anche un pensatore militare alla Clausewitz ed uno stratega vittorioso pari a von Manstein.
Assicura ‘Newsweek’ che i Seals “are morale boosters, and they know it. Which may explain why they collaborated in an upcoming full-length feature film called ‘Act of Valor”. Il capo supremo delle Special Operations, ammiraglio McRaven, ha fatto sapere al mondo che “his infatuation with Special Ops began when he saw John Wayne in The Green Berets”. Ammirevole sincerità e aspra lezione per chi prende troppo sul serio la scienza degli Stati Maggiori.
Peraltro il settimanale di New York, in omaggio alle ferree regole della professione, non ha mancato di riferire “some in the military regard (the film) as foolish and helpful only to the enemy”. Anche perché “the Seals move from place to place -Costa Rica,Somalia,Mexico,etc-, treating the world as their war zone”.
Mentre l’America profonda sembra compiacersi di avere un presidente assai meno amante della pace e dei diritti umani di quel che sembrava, nonché di avere uno snello esercito nuovo, combattenti acrobatici che vincono vittorie più spettacolari di quelle tradizionali di Hollywood, ci sono critici per i quali “Afghanistan today has the potential to be even more destabilizing for the region and the world than it was under the Taliban (…) When the Americans leave, the country could easily revert to the failed narcostate and terrorist training ground that it once was”.
‘Time’, del cui rapporto “Why the U.S. Will Never Save Afghanistan” steso nel decennale dell’invasione, riportiamo giudizi e previsioni, ricorda che a tutto ottobre 2011 gli USA hanno perso lì 1786 militari e 763 private contractors, più i feriti. Hanno aperto attorno al paese più di 180 basi avanzate, hanno impiegato 9.000 ‘mine-resistant vehicles’, hanno speso 444 miliardi di dollari “and it simply hasn’t worked (…) The truth is that the country is just steps from the precipice”.
Agraconclusione: “It used to be that American withdrawal was conditioned on success. Now, it seems, withdrawal has become the definition of success. If that’s the case, success in Afghanistan will feel a lot like failure”.
Anthony Cobeinsy