Nello sforzo di meglio comprendere le nozioni di islamismo e di fondamentalismo sono tornato a compitare le pagine in proposito di un libro recente ed autorevole, “Il Sud del Mondo” (Fondazione A. e G. Boroli, 2009) di Gianpaolo Calchi Novati, il professore di storia dell’Africa di cui “Internauta” ha pubblicato due interventi impegnativi: un ‘epitaffio sulla Libia‘ lo scorso ottobre; sul futuro dell’Eritrea e del Sud Sudan nel numero di gennaio 2012.
La prima precisazione ricavata è che le origini del movimento islamista vanno collocate nella sofferenza coloniale di tante terre musulmane, e dunque in un’area politica, piuttosto -o prima- che in un rilancio dell’ispirazione religiosa o in un impegno di ridefinizione teologica. Alcuni leader della mobilitazione anticolonialista apparvero persino poco religiosi, troppo raziocinanti e laici. In questo senso, nota Calchi Novati, l’islamismo “si è protratto e diramato fino alla rivoluzione khomeinista in Iran e alla guerra totale indetta dalla nebulosa terroristica che si nasconde dietro Al Qaeda (‘La base’), fondata da Osama bin Laden”. Fu soprattutto agitatore politico il capostipite del panislamismo Jama al-Din Afghani (1839-97), che era nato in Persia ma che agli inizi ebbe contatti col re dell’Afghanistan. Si rifà ad Afghani il movimento salafista (da ‘salaf’, parola che esalta gli antenati). Il suo insegnamento si diffuse e riverberò soprattutto in Egitto e nell’Arabia Saudita.
Nel primo paese l’effetto maggiore fu il sorgere dei Fratelli Musulmani ad opera di Hassan Ibn Ahmad al Banna, ucciso nel 1949, e di Sayyid Qutb. Al cuore della predicazione di Qutb fu l’imperativo che la giustizia sociale fosse la funzione prima dello Stato islamico ideale. Qutb si spingeva ben al di là del sostanziale centrismo del regime di Nasser, per avanzare una proposta rivoluzionaria. Infatti Qutb fu condannato a morte dal governo del Cairo (anche se l’incitazione terroristica non figurava nel suo messaggio). In qualche misura si può dire che il fondamentalismo dei nostri giorni risale a Qutb, guida e martire. Finalità di questa variante dell’islamismo era, per Calchi Novati, la modernizzazione (o il perfezionamento) dell’Islam al tempo stesso che il movimento contrastava gli aspetti deteriori della modernità.
Nell’Arabia Saudita il movimento islamista espresse la dottrina wahhbita, risalente a un pensatore e predicatore del XVIII secolo, Muhammad Ibn al Wahhab. Al centro di questa dottrina c’è il rigore assoluto della pratica. E’ il credo imposto al paese dal governo di Riyad, anche in quanto il wahhbismo rafforza nei fatti l’egemonia dell’Arabia Saudita su non poche realtà del mondo islamico contemporaneo.
La riscossa dell’identità musulmana favorì, senza determinarle, le prime prove in Africa dell’anticolonialismo. Nel sec.XIX la fascia subsahariana conobbe addirittura una serie di ‘guerre sante’ o jihad; peraltro solo in parte rivolte contro i dominatori occidentali. Erano intese anche, a volte soprattutto, contro eresie e reinsorgenze di riti pagani.
La valenza anticolonialista dell’attivismo islamista fu a volte importante. Secondo quanto rileva Calchi Novati, il “califfato” che Othman dan Fodio fondò a cavallo tra Settecento e Ottocento nella regione settentrionale dell’attuale Nigeria apparve un grosso conseguimento, con un’articolazione avanzata, a metà strada tra Stato islamico e monarchia tradizionale. Sarà però agevolmente abbattuto dalla preponderanza europea.
Le affermazioni più note delle “guerre sante” ottocentesche furono le campagne militari condotte fino al 1885 dal Mahdi (Salvatore) Muhammad Ahmed. Quell’anno i mahdisti riuscirono a sconfiggere sul campo e ad uccidere il generale britannico Gordon. Conquistarono Khartoum. Anche in questo caso la controffensiva della potenza coloniale ebbe ragione del tentativo del Mahdi.
Naturalmente le affermazioni originarie dell’Islam nel Continente nero risalgono ben più indietro nei secoli. Poco dopo il Mille il Marocco arrivò a signoreggiare l’Africa occidentale, oltre che la penisola iberica. Invece nel secolo XIX la religione islamica, pur avendo un parziale ruolo politico, non guidò lo sforzo anticolonialista, che fu piuttosto condotto da leadership laiche. In seguito questo non poteva non suscitare conflitti all’interno del mondo islamico. Il caso limite fu l’Algeria, dove la lotta di liberazione fu condotta vittoriosamente dal FLN, mosso da spinte e contenuti laici e modernizzanti. Però qualche tempo dopo la vittoria emerse il fallimento sia degli indirizzi socialisti, sia di quelli liberisti dell’indipendenza, ai fini della lotta alla povertà.
Si profilò dunque un’avanzata impetuosa dell’islamismo politico, innervato soprattutto dal precetto religioso della carità verso i poveri. Nelle prime elezioni libere, un anno dopo la legalizzazione, il Fronte Islamico della Salvezza trionfò con parole d’ordine riferite alla fede, nonché al concreto impegno assistenziale degli islamisti. In teoria non erano formule idonee ai tempi. E invece riempivano un vasto vuoto e proponevano valori sorretti da un retaggio millenario.
Il regime rispose con un colpo di stato militare; gli islamisti reagirono con la violenza e l’Algeria indipendente cadde in una guerra civile sanguinosa. Alla fine il presidente Bouteflika trovò una formula conciliativa che mise fine alla contrapposizione frontale tra religione e Stato.
E’ passato un decennio e le rivolte della ‘primavera araba’ hanno confermato con crudezza la débacle delle varie formule della modernizzazione laicista. Gli epigoni dei vincitori dell’indipendenza non hanno saputo dare pane ai proletari, alle nuove generazioni soprattutto. La modernizzazione ha molto allargato il ruolo della borghesia urbana occidentalizzata, ma alle masse è risultata ingiusta, aggravatrice dei divari sociali, produttrice di alienazione culturale e di perdita d’identità.
Il fronte decisivo è quello sociale. Nessuna ideologia laica, né liberista né collettivista, è oggi credibile nel mondo come fattore di giustizia e di redenzione. Nell’ Islam resta più che mai netta la verosimiglianza che una forte svolta ideale restituisca slancio al fatto religioso, perché la fede torni a guidare i popoli sul terreno politico, come alle origini. Ipotizzo che anche l’ecumene cristiano potrà conoscere un processo analogo, visto l’esaurimento di tutte le spinte ideologiche oggi conosciute, dal liberalismo al marxismo. Però la rottura della continuità religiosa dovrà acquistare in Occidente caratteri più dirompenti, e le conseguenze saranno ancora più decisive che nell’Islam, dove sia il capitalismo sia il collettivismo hanno avuto meno possibilità d’azione.
A.M.C.