“GOP candidates denounce talk of inequality as class warfare, but a conservative historian believe the eonomic divide -Rich America, Poor America- is real, and offers a solution”. Presentato così, l’ampio scritto su ‘Newsweek’ (23 gennaio) del conservative historian -Niall Ferguson, professore a Harvard- va letto col massimo impegno: non promette ‘la soluzione’ al problema dei problemi?
Il professore esordisce: la diagnosi di Benjamin Disraeli sull’Inghilterra del 1845 è applicabile tale e quale agli Stati Uniti del 2012: “There are two nations; between whom there is no intercourse and no sympathy…the Rich and the Poor”. Orbene per Ferguson i veri conservatori comprendono appieno che “un’economia capitalista non potrà non perdere legittimità se i benefici del congegno economico vanno solo all’elite dell’1%”.
I fatti elencati dallo storico di Harvard sono inappellabili e noti a tutti. Il reddito reale del quarto inferiore delle famiglie americane è sceso rispetto agli anni Settanta; laddove il reddito reale dell’1% superiore è più che raddoppiato: da sotto il 10% a poco meno del 24% (2007).
La presente campagna per la Casa Bianca vede Obama schierato dalla parte dell’America povera e Mitt Romney campione dei privilegiati. Ferguson si impegna perciò a descrivere la posizione di quello che considera il portavoce più attendibile della coerenza conservatrice, Charles Murray dell’American Enterprise Institute, il cui recente libro ‘Coming Apart’ è “a much needed antidote to the campaign for a European America”. Alla società americana si chiede da sinistra, da economisti come Paul Krugman e Jeffrey Sachs, di imitare i paesi scandinavi, nei quali “the rich have not being getting richer and social mobility remains high”, laddove l’America premia l’appartenenza e i meccanismi elitari, non il merito. Nel 1970 i capi delle 500 maggiori corporations era di un milione di dollari, nel 2010 di $13 milioni (incremento 1200%). Il reddito medio di tutti gli americani era nel 1975 di $12 mila, nel 2010 di $49 mila (incremento 308%).
Ebbene il conservatore Ferguson disapprova il troppo rigore dell’analisi del conservatore Murray, pur il migliore dei campioni della ricchezza, precisamente campione di quella ‘cognitive elite’, della ‘new upper class’ che si appropria sempre più largamente dei ‘financial returns on brainpower’. Secondo Murray le cose non possono non peggiorare per ‘Lower class America’, in quanto in quel contesto le quattro strutture portanti della società americana -famiglia, lavoro, comunità locale, pratica religiosa- stanno collassando.
Obietta lo storico di Harvard: Murray chiede all’America di stare alla larga dell’Europa, e di tornare invece alle sue radici. Propone cioè di liquidare le istituzioni del New Deal e della Great Society, che hanno fatto il male del ceto inferiore; di rimpiazzarle con un reddito di base garantito e di puntare tutto sui valori fondanti dell’American way, religione compresa. Ma come tornare a un’America che quasi non conosceva il divorzio e le nascite fuori del matrimonio? A un’America nella quale metà della nazione andava in chiesa la domenica? Come guadagnare i privilegiati della ‘cognitive elite’ ai valori dell’uguaglianza? Che poi, non è vero che 80 anni fa i divari sociali fossero inferiori ad oggi. Dunque no al massimalismo di destra e al catastrofismo. E’ verosimile che gli USA possano tirare avanti a lungo con le loro attuali contraddizioni.
Arriva il paragrafo con la soluzione promessa nell’incipit: “Meglio ancora che tirare avanti, propongo di prendere di petto la questione delle disparità. Propongo di smontare il Welfare anni ’30 e anni ’60 prima che portino l’America alla bancarotta, e garantire un reddito di base a tutti”. Dov’è la differenza rispetto alla teoria Murray? Ecco la precisazione autentica: “Then simplify the tax code to restore the incentives that used to exist for everyone to work hard. Finally, end the state monopolies in public education to launch a new era of school choice and competition”.
Come si vede, Harvard si contenta di poco. Prende le distanze del fondamentalismo della ‘cognitive elite’. Ma in ultima analisi ribadisce i semplici precetti del liberismo. La ‘soluzione Ferguson’ era un diverso modo di dire. Era il semplice suggerimento di evitare sostantivi ed aggettivi del fideismo reaganiano. E di non chiamare ‘class warfare’ le invettive del 99% contro l’1%.
Anthony Cobeinsy