LA REPUBBLICA CECA HA UN RE IN RISERVA?

Altrove in questo ‘Internauta’ si parla degli umori un po’ ipocondriaci, atrabiliari, saturnini della nazione ceca, residuo dell’artificiale Cecoslovacchia inventata nel 1919 a Versailles, abbattuta dal Terzo Reich nel 1938, infine ridotta a Repubblica Ceca il 1.1.1993 dalla secessione della Slovacchia. Non molti giorni fa Praga ha aggiunto credibilità ai cliché temperamentali di cui sopra affiancandosi al Regno Unito, l’arcinemico dell’integrazione europea, nel rifiuto di una rinegoziazione dei trattati che aggiunga un po’ di malta all’unificazione del Vecchio Continente. Sul piano puramente razionale è arduo decifrare la malevolenza o diffidenza verso l’Europa di un paese-ponte tra due anzi tre delle componenti storiche dell’Unione: quella tedesca, quella slava, quella austriaca-mitteleuropea. Allora è più agevole trasferirci a un altro piano, più fantasioso. Che i cechi si avvicinino al Regno Unito perché quest’ultimo, appunto, è il regno che essi non hanno? Che sia un’altra delle ipocondrie nazionali?

In questo caso aveva senso un vecchio articolo del “Wall Street Journal” un tredici anni fa: assicurava che anche in Cecoslovacchia (allora non menomata dalla secessione di Bratislava), come in ogni altro paese ex-comunista c’erano i nostalgici delle teste coronate. E poiché negli ultimi secoli una dinastia cecoslovacca non c’era stata, mancando un regno cecoslovacco, il quotidiano di Manhattan suggeriva semiserio una dinastia austro-tedesca e non slava: la famiglia del principe Karl von Schwarzenberg, in quel momento ‘cancelliere’ (ma non nel senso tedesco di capo del governo) del presidente Havel.

La dinastia proposta dal quotidiano finanziario non aveva mai regnato, però aveva lambito troni. Nell’Ottocento uno Schwarzenberg era stato arcivescovo quasi sovrano a Salisburgo, poi a Praga. Un altro, Karl Philipp, aveva vinto Napoleone in battaglia  e un anno dopo (1814) comandato gli eserciti della coalizione che invadeva la Francia. Un altro ancora, Felix, aveva presieduto il governo imperiale asburgico tra il 1848 e il ’52, tra l’altro reprimendo col cannone l’insurrezione viennese del ’48 e inducendo il quasi-incapace imperatore Ferdinando I ad abdicare in favore del vigoroso nipote Francesco Giuseppe. Un anno dopo Felix spense con la solita artiglieria la rivolta ungherese.

Il rampollo Karl, capo della casa presidenziale a Praga, possedeva castelli e vaste terre in Cecoslovacchia (in precedenza espropriate dai comunisti) oltre che in Baviera. A quell’epoca penetrai senza difficoltà in uno dei castelli, forse sulla Morava, che non era aperto ai turisti: solo uffici dell’amministrazione di casa Schwarzenberg, un piano per gli immobili urbani, due o tre per le proprietà forestali. La didascalia del “Wall Street Journal” sotto l’immagine del Pretendente che proponeva ai cecoslovacchi diceva semplicemente ‘Prince Karl in Prague’. Niente cognome, come usa per i reali. Nell’articolo si facevano insistiti paralleli con Otto d’Asburgo, un figlio d’imperatore che aveva vagheggiato di farsi capo dello stato in Ungheria. Come a dire, Otto in trono a Budapest, Karl a Praga, per Vienna si vedrà. Almeno in Bulgaria uno ex-zar esiliato nel 1946, Simeone di Sassonia-Coburgo-Gotha figlio di Giovanna di Savoia, era destinato a capeggiare abbastanza a lungo il governo di una Repubblica ex-comunista.

Karl von Schwarzenberg non si è eclissato con la fine del mandato presidenziale di Vaclav Havel: oggi è vice-primo ministro e ministro degli Esteri della Repubblica Ceca. Tuttavia, malgrado l’asse antieuropeo col Regno Unito, la sua proclamazione a re di Cekia non sembra imminente.

Allora non è bello che il grande quotidiano di Wall Street abbia fatto nascere illusioni regali nel possidente Karl von Schwarzenberg. A meno che sia stato quest’ultimo col suo charme a far nascere nel direttore del giornale l’illusione di mettere in trono un re. Per censo, come si addiceva al principe dei fogli finanziari.

l’Ussita