IL MANIFESTO: ALZHEIMER COMUNISTA

La speranza di sopravvivere, per il quotidiano di tante sconfitte, è appesa a un’estrema colletta, la ‘Mille per Mille’: mille sponsor da mille euro ciascuno. Io odiatore del capitalismo, del consumismo, del mercatismo dico a figli e nipoti della pattuglia rossandista/parlatista: se riuscirete nel conato 1000×1000, sappiate che sopravviverete su denaro sporco, disonorevole.

Hanno il diritto di elargire male il loro denaro solo coloro che donano parecchio anche, p.es. alle famiglie dei carcerati poveri: mangiano solo perchè esistono le parrocchie e i volontari, vestono solo dai cassonetti della Caritas. Chi dona al ‘Manifesto, o a qualunque causa settaria o futile, e non anche ai derelitti, agli affamati, agli assiderati, è un mascalzone. Chi spende per cani, gatti, barche e cavalli, o nelle boutiques del lusso, o negli altri templi del superfluo, invece che nel soccorso ai più disgraziati, è tecnicamente senza cuore, meritevole delle stesse sciagure cui sono indifferenti.

L’eventuale successo del conato 1000×1000 confermerà una realtà grottesca: una parte della borghesia danarosa è complessata e radical chic al punto di riforaggiare una testata che vive da decenni sui rimorsi, le frustrazioni, i capricci di chi guadagna bene. E’ naturale che i lavoratori e i precari non comprino Il Manifesto. Ma i suoi genuini estimatori riescono a donare 5O non 1000. Le vere elargizioni vengono dai poco-di-buono di cui sopra: riccastri, eredi e redditieri buoni a niente, vedove amicone degli stilisti di moda, accademici nepotisti, più sparuti morti di fame però senza figli da mantenere.

Anche per Il Manifesto i giornalisti dei Grandi Media hanno sventolato fazzoletti di solidarietà ai colleghi dei fogli che boccheggiano. Hanno intonato la solita solfa secondo cui ogni testata che sparisce fa piangere la Pluralità dell’Informazione; invece nell’età di Internet fa piangere il reddito degli interessati e di un minuscolo indotto. I giornalisti che singhiozzano al capezzale delle testate morenti temono che potrà toccare anche a loro. Sempre più si conferma che il giornalismo cartaceo e quello televisivo vanno ad esaurimento.

Ma è il senso politico di giornali come Manifesto e Rifondazione che è finito da almeno trent’anni. E’ giusto muoiano. Tra cinque anni sarà un secolo dalla Rivoluzione d’Ottobre: e già novant’anni fa la maggior parte del mondo respingeva il leninismo-stalinismo. Il plebiscito planetario e permanente contro il comunismo ha addirittura cancellato la nozione che è esistito un movimento marxista. Solo il cristianesimo delle origini è fallito tanto quanto il marxismo. Le società assoggettate dalle armate, milizie e bande rosse (in Europa in Asia dovunque) odiano il comunismo di un odio persino eccessivo, persino sbagliato. Negano al comunismo ogni pur piccolo merito. Cancellano tutte le sue opere, anche quelle che meritavano riconoscenza. Avere suscitato un rancore così soverchiante è -milioni di assassinii a parte- il più grave dei delitti comunisti. 95 anni di stalinismo e parastalinismo nonché del fratellastro strabico, il gauchisme, hanno dato il trionfo all’ipercapitalismo.

 

Eppure la salvezza e il futuro sono nella riscossa di un neo-collettivismo  umanistico e libero, cioè anticomunista, come lo speravano Rodolfo Mondolfo e, da un’altra sponda, il socialismo cristiano e il guild-socialism di Maeztu. Anche a causa delle ultime patologie del sistema di mercato, si rialzerà la speranza. Il socialismo reale fu ucciso dall’inumanità dei suoi padroni; il socialismo degli ideali dalla corruzione e dalle connivenze. Ma è possibile -i cicli della storia direbbero addirittura è probabile- il risorgere dell’ideale.

L’ipercapitalismo non è senza alternative. Là dove l’idolatria del benessere si infiacchirà ci sarà un avvenire per il senso solidale e libero del vivere insieme. Sarà la volta di un comunitarismo ‘del kibbuz’ mondato degli errori e delle degenerazioni. Potranno persino rivivere le non molte ragioni valide di un comunismo che cento anni di cecità partigiana hanno ucciso.

Antonio Massimo Calderazzi