Il 3 giugno 1997 il socialista Lionel Jospin, vincitore delle elezioni legislative, andò all’Eliseo e ricevette dal presidente Chirac la nomina a primo ministro. Nella Quinta Repubblica come la volle de Gaulle il primo ministro non è un vero capo del governo (lo è il presidente della Repubblica). Tuttavia la caduta del primo ministro Alain Juppé, seguace di Chirac, ad opera di un socialista fu un fatto grosso. Oggi che il socialista François Hollande, semplice capo di un apparato partitico, cerca di abbattere non un primo ministro ma il presidente Sarkosy vale la pena di riandare ad alcune riflessioni di quindici anni fa.
In due secoli e un quarto la Francia ha avuto cinque Repubbliche, due imperi e una Restaurazione. Quest’ultima, durata dal 1814 al 1830 (coll’interruzione dei Cento Giorni dell’Imperatore piombato dall’Elba) reinsediò i Capetingi, ossia il Vecchio Ordine, fino alla brevissima Seconda Repubblica, presidente Luigi Napoleone (presto imperatore).
Nel 1997 Jospin, un socialista convinto, tentò di deviare la storia liberista cominciata negli anni Settanta nel nome di Thatcher, di Reagan e dei monetaristi di Chicago. Tentò di riproporre una linea di sinistra. Con la Waterloo di Chirac sembrò delinearsi un corso neostatalista, non solo in Francia. In Italia venne la vittoria dell’Ulivo; nell’UK si credette che Blair avrebbe rialzato la socialità; che lo stesso avrebbe fatto la socialdemocrazia tedesca. In Francia la mano di Jospin si fece sentire per un po’, intanto con la settimana di 35 ore, giusta o sbagliata che fosse.
Tuttavia il primo atto di governo di Jospin non fu niente di rosso. Approvò l’invio di altre truppe nel Congo-Brazzaville, cioè confermò la coerenza tardo-colonialista che tre lustri dopo si esprimerà nella campagna libica di Sarkò-Cameron. Nelle stesse prime ore di Jospin a palazzo Matignon la Gendarmerie in pochi minuti mise a tacere i simpatizzanti ipergauchisti dei sans papier, simpatizzanti che nei megafoni ululavano al nuovo premier “mantieni le promesse”. Probabilmente coglieva nel segno una cover story del settimanale ‘l’Express’: “Da Jaurès a Mitterrand la sinistra francese ha sempre fatto distinzione tra conquista ed esercizio del potere”.
A un trimestre dalle elezioni presidenziali del 22 aprile il candidato Hollande si proietta, o forse no, come il Jospin del nostro tempo. Però formule poco pochissimo giacobine, abbastanza compatibili con le direttive di Bruxelles e con le pretese delle agenzie di rating: “Prometterò solo quanto potrò mantenere”. I mesi della battaglia elettorale potranno stracciare la circospezione di Hollande; dipenderà anche dalle posizioni del suo avversario maggiore (il quale è possibile non sia Sarkò). Al momento Hollande si atteggia come un qualsiasi politico di statura regionale, che però non si fa fotografare in auto blu ma in bicicletta.
Questo, in qualche misura, è uno dei tratti che richiamano Jospin, il quale sottolineava: “Sono figlio di una levatrice e di un insegnante. Vengo da un ambiente semplice e non intendo allontanarmene. Entrare nell’élite non mi attira” . Forse fu la consegna ricevuta dai maghi della comunicazione, ma all’inizio funzionò. I primi momenti di Jospin furono magici: persino gli avversari gli tributavano riconoscimenti. Era pervenuto a ministro socialista dell’Istruzione, ma seppe distaccarsi dal potere quando intuì che l’era Mitterrand degenerava nella corruzione. Dunque risultava portatore di istanze morali insolitamente elevate.
Se la Francia si interrogava tanto su un nuovo Premier Ministre era perchè lo scacco inflitto a Chirac faceva presagire una cattiva cohabitation tra un Eliseo conservatore e un Matignon socialista. Secondo Georges Vedel, decano dei costituzionalisti di Francia, la Quinta Repubblica non era finita ma era già un’altra cosa. Si sarebbe dovuto ritoccarne i lineamenti, sosteneva un comitato di politologi capeggiato appunto da Vettel. Il capo dello Stato, dotato dei poteri pretesi e ottenuti da de Gaulle, avrebbe dovuto dimettersi in caso di rovescio elettorale. Infatti ci fu chi ipotizzò un passo indietro di Chirac. Tutto sarebbe dipeso dalla prudenza di Jospin (peraltro “si pugnace, si viscéralement de gauche”) e dei suoi alleati verdi, comunisti, altri cespugli. In ogni caso, insegnava il giurista Vettel, Chirac avrebbe dovuto comportarsi come un monarca costituzionale o come un capo di stato da Terza Repubblica, non Quinta.
Contro l’idea che fosse risorto un popolo della sinistra pronto a marciare sulle Tuileries della finanza internazionale, ce n’era un’altra che privilegiava piuttosto la volubilità dei francesi (“impazienti e vendicativi -aveva scritto Jean Daniel su un foglio progressista- hanno bisogno di capri espiatori. Hanno divorato la stessa destra che avevano innalzato due anni fa. Divoreranno anche la sinistra se entro due anni non farà prodigi”).
Nel frattempo Chirac era rimasto senza maggioranza, e di fatto risultava il capo dell’opposizione: lacerata quest’ultima dalle vendette intestine che seguono a tutte le disfatte. Il risentimento più aspro andava all’uomo che aveva convinto Chirac a indire elezioni che “on ne peut pas perdre”. Dominique de Villepin segretario generale dell’Eliseo, eminenza grigia, anzi per i nemici ‘chouchou’, del presidente, membro del triumvirato che reggeva la Francia (Chirac Juppé de Villepin), in quel momento il quarantatreenne diplomatico perse buona parte di un prestigio persino imbarazzante. Aristocratico nell’aspetto, persino più alto di Chirac, di lui si era detto che il suo carisma intimidisse il capo dello Stato.
Oggi è da anni impegnato in un conflitto personale, anche nelle aule giudiziarie, con Nicolas Sarkosy. Ha improvvisamente annunciato che concorrerà per l’Eliseo come capo di un suo partito République Solidaire, o forse come indipendente ‘al di sopra delle parti’. Ex-primo ministro ed ex-ministro degli Esteri, de Villepin ha dimostrato di essere parecchio più di uno ‘chouchou’.
Oggi come oggi non ci sono elementi per predire veri terremoti, dovesse l’Eliseo cadere a Hollande. Ritocchi allo stile, certamente tanti e vistosi: magari meno missioni dei cacciabombardieri e qualche aggravio sui ricchi. Ma forse i ritocchi ci saranno anche se Sarko sarà rieletto. Ove sul trono salisse de Villepin, o Marine Le Pen, potrebbe accadere di tutto. Oppure no.
A.M.C.