Confida Marco Vitale che negli anni ’70 e ’80, da consulente di un’importante compagnia di crociere, insisteva con gli armatori perchè si facessero anche un po’ albergatori e intrattenitori. Ma che oggi additerebbe agli albergatori-intrattenitori della Costa Crociere il dovere d’essere un po’ più armatori. Questo perché in ultima analisi tale compagnia -americana, come si vedrà- è responsabile, tra l’altro, di avere affidato “un mostro del mare con 4000 anime” ad un comandante spericolato e portato ai crolli psicologici.
La verità, dice il prof. Vitale, che nella tragedia avvenuta non c’è il retaggio armatoriale italiano. Americana è la proprietà,la Carnival Corp.; americano il suo capitalista e capo assoluto Mickey Arison, valore stimato 4 miliardi di dollari; americana soprattutto l’ossessione di costruire navi sempre più grandi, sempre più alberghi/parchi di divertimento galleggianti, a scapito delle componenti armatoriali e dunque della sicurezza. Si privilegiano le esigenze dell’intrattenimento, delle dimensioni, del marketing. Per dirne solo una, si minimizzano le derive.
A confronto con la più grossa di tutte le navi da crociera, la “Oasis of the Sea”,la Costa Concordiaera di dimensioni modeste. La “Oasis”, della Royal Caribbean Cruises, seconda
dopola Carnival, è di 225.282 tonn., molto più mastodontica della portaerei “George Washington”. Ha 16 ponti, è lunga360 metri, larga 64, porta 6296 passeggeri e un personale di 2394 persone. E’ dunque quasi il doppio della Costa Concordia, ma ha un pescaggio di soli9,1 metri, non più di un metro oltre quello della Costa Concordia, che era poco superiore a quello di una barca a vela importante. Sono in cantiere navi ancora più immense, da 10 mila passeggeri.
Per fare sempre più profitti si sente il bisogno di un mercato sempre più vasto. E questo persegue incessantementela Carnival: il suo fatturato è passato da 44 milioni di dollari nel1979 a16 miliardi oggi. Ed ecco sempre più navi, ciascuna più grande della precedente, con problemi sempre più complessi, tra i quali la formazione degli equipaggi e la compatibilità tra i requisiti armatoriali, di sicurezza, alberghieri, etc. Vari esperti del settore considerano inevitabile qualche altro disastro, magari in circostanze di mare più gravi, a distanza maggiore dalla costa e così via.
Il gigantismo non si fermerà spontaneamente. Marco Vitale valuta che l’ossessione per la crescita e per i profitti potrà essere frenata solo da poteri pubblici i quali non siano condizionati dalle lobbies del settore crocieristico. Settore chiaramente importante e positivo: 20 milioni di passeggeri a livello mondiale, destinati a crescere. Per la sua collocazione nel Mediterraneo, per la qualità delle attrazioni che offre sulle coste o a breve distanza da esse, per la tradizione stessa, l’Italia resterà protagonista. Si esige però dovunque una decisa riduzione degli eccessi; si esige un ripensamento complessivo che tra l’altro porti a strutture e modalità operative più sostenibili. Non è realistico puntare sull’autoregolamentazione degli operatori. Occorrono, insiste Marco Vitale, standard di sicurezza più alti, rotte più responsabili, ostacoli al gigantismo e tribunali del mare più severi.
In aggiunta agli imperativi così enunciati, sembra evidente che con navi così spropositate certe prassi vanno abbandonate, nonostante tutte le loro motivazioni tradizionali. Il cosiddetto ‘inchino’ si è sempre fatto, e molto, però con navi tanto più piccole, cioè più manovrabili. Oggi appare grottesco, anche se romantico, l’omaggio a località che sono patrie di capitani di mare, persino di personaggi minori. Sono cambiate tante cose del mondo, perchè dovrebbero prolungarsi veri e propri vezzi come l’inchino? Possibile debbano corrersi rischi straordinariamente gravi solo per aggiungere modeste attrazioni alle proposte del marketing?
J.J.J.