Anticipiamo un po’ il bilancio del settennato Napolitano. Una cosa davvero storica ha fatto Giorgio: dopo avere regnato all’unisono con la casta che lo elesse e i cui misfatti omise di punire: ha deposto il Cagliostro di Arcore, ha insediato Mario Monti, ha lanciato il superiore concetto di governo dei tecnici. Orbene, qui e lì, grande stampa internazionale compresa, si è preso a chiamare ‘re Giorgio’ chi ha compiuto queste eccellenti azioni.
Se mi si consente di fare più ariosa l’analisi politica, vedo con favore qualche prossimità tra Giorgio e Luigi Napoleone, figlio di un quadriennale re d’Olanda. Egli figlio il 10 dicembre 1848 fu eletto presidente della repubblica francese, ma il 2 dicembre 1851, una settimana prima che gli scadesse il mandato, fece il colpo di stato. Arrestò i principali avversari, sciolse l’Assemblea nazionale, indisse un plebiscito che ratificò il suo operato -7,5 milioni di suffragi allora erano tanti- e gli conferì i pieni poteri (senza pieni poteri Mario Monti si troverà a zappare senza zappa). Ancora poche settimane e una nuova Costituzione prolungò a Luigi Napoleone il mandato per dieci anni. Il 2 dicembre un altro plebiscito lo proclamò imperatore dei francesi.
Giorgio perché non farebbe qualcosa di simile? Per avere giurato fedeltà alla Costituzione? Anche Luigi Napoleone aveva giurato. Per mancare dell’eccezionale legittimazione che a Luigi veniva dall’essere un Napoleonide? Ancora più forte sarebbe la legittimazione di volere scacciare i Proci usurpatori e salvare la Patria, anzi di avere già cominciato a salvarla scongiurando o rinviando il default. Altrimenti è certo che i capitribù parlamentari staccheranno la spina a Monti appena proverà a essere Monti sul serio. La logica del nuovo corso vorrebbe i pieni poteri al governo. Se re Giorgio indirà un paio di referendum bonapartisti, con gli indici di popolarità che si ritrova, e con l’odio che sta montando verso la politica che ci opprime, chi non crede che trionferà?
Non si curi, il Predestinato a salvarci, della consuetudine di chiamare autoritario e bancario-borghese il terzo Napoleone. Imprese belliche e macchinazioni diplomatiche a parte, il presidente divenuto Empereur autoritaire non fece il monarca scaldatrono: “Pour se ménager l’appui des classes laborieuses, il entreprit de nombreux travaux publics, encouragea l’agriculture, l’industrie et le commerce, créa des institutions de bienfaisance et de credit, etc”. Nell’esilio inglese di Chislehurst, dopo la disfatta di Sedan, la prigionia e l’abolizione dell’Empire, fantasticava piani per sollevare le sorti dei proletari, scriveva operette in proposito. Non era un reazionario. Se tiene alla sua reputazione, Giorgio si preoccupi piuttosto di farsi perdonare il vituperevole appoggio alla guerra coloniale afghana di Bush&Obama.
Se da democratico d’antan e da ex-sottoleader operaio non ama l’idea di restaurare la monarchia, ecco la soluzione che piacerà ai guardiani delle moderne libertà come ai cultori delle memorie repubblicane antiche: previo il benemerito arresto (con villeggiatura a Campo Imperatore) di un tot di caporioni di partito, ripristini la proto-repubblica gloriosa, quella uccisa da Caio Giulio Cesare e da Ottaviano Augusto. Faccia rivivere il consolato. I consoli erano due: Giorgio e Mario Monti. Più coerenza repubblicana di così? Non lo chiameremmo più re, ma per i fan più entusiasti resterebbe Primo Console.
Qualcuno dubiterebbe del trionfo referendario-elettorale della coppia Giorgio-Mario? Il ritorno al consolato repubblicano SPQR è il giusto mezzo tra ritorno alla monarchia e macerazione nella palude mefitica. L’Italia non è canapa, rifiuta di macerare. L’hanno affermato Giorgio&Mario.
Porfirio