ZAPATERO UNA DISFATTA CULTURALE

Certo, gli spagnoli hanno dato il trionfo alla destra perchè i disoccupati sono cinque milioni, perché è finita per tanti l’illusione di vivere sulla rendita immobiliare, perchè è grave il debito privato oltre a quello pubblico. Tuttavia forse Rajoy avrebbe vinto lo stesso-non stravinto- anche se gli spagnoli non si fossero sentiti minacciati da un ritorno alla miseria antica. Non è detto che il 20 novembre abbiano vinto le sole ragioni dell’economia. Devono avere agito, perfino prevalso, quelle culturali o di civiltà. Prevalsero e straziarono nel 1936, con la guerra fratricida.

Anzi, è da duecento anni, dalle Cortes di Cadice -nel 1812 votarono la prima Costituzione liberale d’Europa- che la Spagna combatte battaglie di civiltà. Battaglie non metaforiche ma con i cannoni, quelle carliste: lotte di fazioni dinastiche, ma anche scontri tra conservazione integrista e liberalismo aggressivo. Tre guerre carliste lacerarono e uccisero in grande. Erano di fatto carlisti, cioè legittimisti monarchici e cattolici, anche i battaglioni di requetés senza i quali i generali di Franco non avrebbero vinto le  vittorie iniziali, prima che arrivassero gli aiuti di Berlino e di Roma. Del resto, Cadice non inventò il liberalismo d’azione dopo che gli spagnoli si erano battuti fino allo spasimo,  senza motivazioni economiche, contro Napoleone?

La Spagna è fatta così. Sono più di due secoli che revoca in dubbio la razionalità dell’interesse. Che mette in fuga il determinismo economico. Così, in parte, è andata questa volta. Otto anni fa una pattuglia di liberal-radicali di sinistra, chiamiamoli azionisti, capeggiati da J.L.Rodriguez Zapatero, presero il controllo del PSOE, partito socialista, e lo portarono alla vittoria elettorale profittando degli errori del governo Aznar. Insediatisi al governo, Zapatero e i suoi valutarono che la proposta socialista, anche nella versione ‘craxiana’ di Felipe Gonzales (peraltro contaminata dalla corruzione) non aveva più senso nella Spagna entrata nel benessere di massa, per la prima volta nella sua storia.

 Decisero dunque di lasciar cadere il socialismo a favore del radicalismo modernizzante e laicista, ossia antireligioso; a favore dell’ideologia dei diritti  e della liberazione del costume: femminismo spinto, aborto anche delle minorenni, matrimonio omosessuale, e simili. Il tutto confluiva nella ripresa dell’anticlericalismo degli Illuministi prima, poi del liberalismo ottocentesco (condiviso anche da vari generali che facevano i colpi di stato), infine del progressismo Prima Repubblica. La  quale visse meno di un anno (1873), per essere spenta dalla controffensiva monarchica. Nei successivi due anni ci fu l’effimero regno di Amedeo d’Aosta, secondogenito di Vittorio Emanuele II; poi il generale liberale Martinez Campos, sempre con le truppe, mise sul trono Alfonso XII, figlio della regina Isabella deposta nel 1868.

Nel 1931 la vittoria della Repubblica fece di Manuel Azagna, un intellettuale di rango medio, il capofila e l’incarnazione dell’azionismo liberal-radicale. Seguì un biennio nel quale l’attivismo anticlericale e sinistrista moltiplicò gli assalti alle, senza guadagnare il grosso dei ceti popolari e però suscitando abbastanza antagonismi da provocare il ritorno al potere delle destre. Contro queste ultime si scatenò nel 1934 il conato di rivoluzione anarcosocialista nelle Asturie, represso con le armi. Due anni ancora e avviene la conquista del potere da parte del Frente Popular, con Manuel Azagna dapprima presidente del governo, poi della repubblica. Come aveva fatto nel primo biennio repubblicano, anche nel 1936 Manuel Azagna alla testa dei progressisti trascurò la questione sociale, allora terribile. In particolare non si impegnò sulla riforma agraria: il proletariato di Spagna era fatto soprattutto di braccianti e di coltivatori senza terra, i quali soffrivano letteralmente la fame. Invece Azagna dette il massimo impulso all’azione anticlericale, antimonarchica, antimilitarista. Queste scelte di governo confermarono che il liberal-  progressismo azagnista era nei fatti antiproletario, a parte innocue apparenze e misure marginali. Questo esasperò il ribellismo anarchico, prima di tutto nelle regioni del latifondo. Quando il conflitto sociale arrivò alle conseguenze estreme, i congiurati militari guidati prima dai generali Sanjurio e Mola, poi da Franco, aprirono la Guerra Civile.

E’ straordinario che Zapatero e i suoi abbiano scelto, 64 anni anni dopo la totale disfatta della Repubblica, di ripercorrere la stessa strada di Azagna: azionismo liberal-radicale e non-socialista, laicismo accanito, lotta ai retaggi cominciando da quello religioso, tentativo di rivalsa antifranchista (laddove l’uscita dal franchismo era avvenuta nel nome della rinuncia di tutti alle memorie della Guerra Civile). Lo zapaterismo ha agìto in diretta se pur garbata continuità con le crociate di  Azagna: priorità a emancipazioni di vario genere, persino alle vittorie dei diversi e delle cause marginali; sordina alla questione sociale; nessun argine all’ipercapitalismo, alla cementificazione, al consumismo.

Questi otto anni solo la Chiesa spagnola e i militanti cattolici hanno contrastato lo zapaterismo con un certo vigore ma, dati i ricordi della guerra civile, senza eccessi. La nazione nel suo insieme ha temporeggiato prima di pronunciarsi contro l’aggressione all’identità culturale. Si è rivoltata  allorquando la gestione radical-azionista è stata tramortita dalla crisi finanziaria, dallo scoppio della bolla immobiliare, dalla disoccupazione, dall’ammutinamento degli indignados. La disapprovazione della silent majority c’era anche prima della grande crisi, però era anestetizzata dalla speranza nella prosperità permanente.

Con queste considerazioni non si è certo dimostrato che la Spagna avrebbe abbattuto lo zapaterismo anche se non fosse piombata nella crisi. Resta però evidente l’anomalia di una forza minoritaria che ha tentato una specie di Rivoluzione culturale contro i valori, in alcuni casi millenari, della maggioranza. Questo allorquando società avanzate e fortemente secolarizzate come Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Lussemburgo, paesi scandinavi, conservano tenacemente retaggi e assetti anacronistici quali la monarchia e, perché no,  vari versanti del perbenismo. Nel caso di un paese intrinsecamente drammatico come la Spagna, la difesa del perbenismo è, certo, del tutto irrilevante. Anche la Spagna si tiene la monarchia, imposta da Franco. Ma il sovrano, in quanto ‘democratico’, andava e va bene per il PSOE.

Se in questo decennio la Spagna ha fatto credere di dissociarsi dal suo passato, è perché ha dibattuto le questioni del laicismo, delle rotture e delle trasgressioni sin dai primi dell’Ottocento: dall’esordio del liberalismo irreligioso, nato in patria, a Cadice, e temprato nelle guerre carliste e nella tragedia del 1936-39. Inrealtà anche quest’ultimo fratricidio fu una quarta guerra ‘carlista’ tra fedeltà ai valori e conati di snaturamento. Oggi, dopo il 20 novembre, la Chiesa e i cattolici esultano. Non si dimentichi però che in due secoli hanno conseguito molte altre vittorie non definitive.

Jone