Il 5 marzo 1997, undici giorni esatti dopo la tremenda accusa di Sergio Cofferati al governo semi-pidiessino di Romano Prodi (“Non ha fatto nulla per creare occupazione”), abbiamo avuto il secondo colpo di palazzo (reale) dell’ultimo cinquantaquattrennio. Nel primo, il Re Imperatore depose il cavaliere dell’Annunziata Benito Mussolini e lo fece arrestare dai carabinieri del maresciallo Badoglio, anch’egli cavaliere dell’Annunziata. Nel secondo colpo l’Inquilino del Quirinale O.L.Scalfaro ha provato ad assumere dei semi-poteri d’eccezione. Ha convocato Prodi e mezzo governo per dirsi pronto a “firmare provvedimenti d’emergenza” sulla disoccupazione. Plauso dei sindacati, così pensosi del bene collettivo.
Non sarà lo scrivente, che considera la Seconda repubblica peggiore della Prima, dunque destinata a finire male, a deplorare l’attentato di Scalfaro alla Costituzione-una-delle-più-avanzate-al-mondo. Costituzione che sarà magistrale ma non prevede la meritata gogna per il Conduttore della partitocrazia: in questo caso un professore bolognese a lungo ipnotizzato dal capo del Partito della Recidiva comunista. Vadano in malora la Recidiva, il Bolognese e la macchina costituzional-politica che lo ha installato a palazzo Chigi.
Resta però l’emergenza lavoro. Non è solo italiana: si vedano 4,8 milioni di disoccupati nella vigorosa Germania; e si veda la tempesta che infuria questi giorni per il tentativo della Renault di liberarsi di seimila persone superflue. Poiché 3100 di tali superflui sono occupati nello stabilimento Renault di Vilvoorde (Belgio), il capo del governo di Bruxelles, Jean-Luc Dehaene, ha condannato aspramente il tentativo dell’azienda francese. Ha invocato non solo “un’autentica regolazione sociale” e “chiare misure d’armonizzazione sociale” ma anche “controlli contro i disinvestimenti”. Si è unito alle rampogne il sovrano Alberto II, subito promosso da ‘Repubblica’ a “Re delle tute blu”.
Capito? Credevate che Bertinotti, recidivo in cachemire, avesse plagiato il patron di Nomisma, e basta. Invece no: Jean-Luc, momentaneo gestore di un contesto ipercapitalista anzi plutocratico quale il Belgio, si mette a maledire il mercato; e così pure il suo Sire e il presidente della Commissione europea, Jacques Santer.
Nel 1996 Renault ha perso circa 1500 miliardi di lire e una parte della sua produzione resta invenduta: anche perché l’Europa intera ha una sovracapacità di 3-4 milioni di veicoli. Non ci sono abbastanza compratori, il mercato è saturo. Se governanti come i summenzionati tentano di impedire alla Renault di ridimensionare una produzione generatrice di perdite, vuol dire una cosa assai semplice e assai grave: si tenta di rilanciare l’assistenzialismo; di ricacciare indietro la storia; di far andare il fiume dal piano al monte. Ecco il senso della ‘badogliata’ di Scalfaro: “Sono a disposizione per firmare decreti che creino lavoro”.
Se lo tolga dalla testa. Lo Stato -il nostro, quello belga, francese, tedesco, eccetera- non ha più le risorse per creare attività. Se le avesse, dovrebbe destinarle ad altri scopi (il tracoma in Africa, p.es., non la prosperità piccolo-borghese, con seconda casa, dei dipendenti di Vilvoorde). Il lavoro lo crea l’economia cioè la realtà, non il governo. Il governo è giusto dia un soccorso a chi ha perduto il pane. Il governo genera solo lavoro falso, cioè prodotti senza acquirenti. Oppure crea ‘infrastrutture’, ossia cose che le società ipersviluppate hanno già in eccesso: autostrade e aeroporti elettorali, università ciascuna delle quali sforna disoccupati o spostati (a volte molto bravi: mai sentito parlare dei laureati a spasso? Degli ingegneri messi in libertà?). Oppure ancora il governo può elargire incentivi, per esempio per la rottamazione di auto. Ma sono un doping, drogano il mercato. Infatti, passati gli incentivi, la Renault ha bisogno urgente di licenziare. Nessun Tesoro dell’Occidente dispone di attivi da destinare alla creazione di posti di lavoro, veri o finti che siano, perchè non può collocare d’imperio ciò che gli esuberi producono.
Allora. Se lo Stato, qualunque Stato, non può/non deve fare quasi più niente per giustificare buste paga, e intanto la globalizzazione incalza con minacce ancora più scure di quelle che conosciamo, da dove verrà il pane per i disoccupati? I politici che gestiscono o malversano l’Occidente non hanno più risposte. Gli economisti della cattedra, dei think tanks, delle banche, delle corporations, delle foundations, delle confederazioni, neppure. Le soluzioni vanno cercate fuori dell’ufficialità, dell’Establishment, del know-how riconosciuto dai media. Vanno cercate ovunque ci sia intelligenza creativa, coraggio fino all’estremismo visionario, in ogni caso noncurante della correttezza politica.
Ecco un soluzione, che non viene da un teorico ma da un imprenditore, abituato a confrontarsi coi problemi reali: il Contratto libero. “Dare ai giovani e a tutti la possibilità di scegliere, al momento dell’assunzione, tra i contratti di lavoro esistenti e un nuovo Contratto Libero: quest’ultimo organizzato su paghe più alte, tasse e contributi più bassi, sanità e previdenza a scelta e a carico del lavoratore. L’idea base è di saltare (quasi) completamente le intermediazioni pubbliche ( Stato, sindacati, associazioni), dare ai dipendenti più reddito e più responsabilità. Il Contratto Libero creerebbe nuovi posti di lavoro e alleggerirebbe il contribuente di oneri per assistenza e previdenza. Una rete di protezione per i più deboli, i più imprevidenti, perfino i più fannulloni assicurerebbe un Reddito Minimo Sociale, crescente coll’età e indicizzato all’inflazione”.
E’ possibile confutare questa o quella delle proposte dell’ingegnere-imprenditore milanese che si firma Peter Pan, non la loro logica complessiva: a meno di non volerle contrapporre una logica complessiva ancora più drastica e dirompente. Peter Pan non addita utopie, bensì temperamenti e razionalizzazioni dell’esistente. Quando l’economia sociale di mercato e la ‘bonomia’ del capitalismo sono rimaste nude occorre ascoltare gli eterodossi. Occorre rifiutarsi al consenso, alla saggezza condivisa, al plauso delle confederazioni. Oggigiorno, nel mercato globale, il Contratto Libero o altre formule di rottura possono dare pane, non i vertici e i decreti di Scalfaro. Non le ingiunzioni di Dehaene o le allocuzioni al burro di Alberto del Belgio. E nemmeno le algebre liberiste dei grattacieli della finanza.
Erano pensieri del 1997. Oggi che le cose sono peggiorate, gli spunti innovativi offerti da Peter Pan ingegnere imprenditore -era Giorgio Peterlongo, di cui lo scorso maggio Internauta pubblicò l’e-book Lo Stato siamo noi- sembrano in qualche misura affiorare nel piano Ichino, cui dicono si ispireranno le innovazioni di Mario Monti in materia di lavoro. Ma se il finanzcapitalismo corrente non coglierà la ragionevolezza di metter fine alla consociazione coi sindacati conservatori e coi politici ladri; di ripudiare lo Stato imprenditore produttore di debiti; di abiurare la fandonia della crescita permanente; di fingere di non sapere che i paesi nuovi sapranno produrre ‘tutto’ per il pianeta intero; allora dovrà sorgere un Pensiero ancora più nuovo.
Dovrà proporre il ritorno generale alla parsimonia, e anche alla povertà; la cancellazione-avocazione della ricchezza dei pochi; la caduta degli imperativi della produttività e della proprietà individuale. Il Pensiero non delle riforme ma della rivoluzione intimerà a dare la certezza del pane -e poco più del pane- a tutti grazie alla condivisione quasi-egualitaria, al semi-socialismo e alla disciplina delle gilde, dei conventi e dei kibbuz. Le vacche sono macilente, non è più tempo di rising expectations e di salvataggi di Stato. Addio all’edonismo, sia elitario sia di massa. Abbiamo ballato, come raccontò un film, la sola estate di Craxi Prodi D’Alema Berlusconi.
A.M.C.