SVILUPPO NON CRESCITA: LA LEZIONE DI LUIGI STURZO

Da cinquant’anni la dominante teoria americana non solo identifica lo sviluppo con la crescita economica quantitativa ad ogni costo, ma ha anche alimentato un concetto distruttivo di crescita economica basata prevalentemente sul capitale e sullo sfruttamento più cieco delle risorse disponibili. Questa impostazione oggi è giunta al capolinea. Emerge quindi la necessità di ripensare il concetto stesso di sviluppo. Ecco allora l’insegnamento di don Sturzo, l’unico economista cattolico che si muova sempre all’interno della Dottrina sociale della Chiesa. Quella Dottrina ignorata non solo dai cattolici di questi decenni ma anche da molti degli uomini di Chiesa.

Sturzo si dedicò incessantemente al tema dello sviluppo, che fu un cardine del suo pensiero e della sua azione. Più precisamente, il tema dello sviluppo fu al centro del suo pensiero soprattutto in due fasi: dal 1899 al 1920, quando fu sindaco di Caltagirone, e nel 1946 quando, dopo il suo rientro in Italia dall’esilio, si batté per l’impostazione di uno sviluppo sano prima della sua Sicilia, poi dell’Italia, quindi dell’Europa intera. Sviluppo, ho detto, non semplice crescita economica: Sturzo si impegna per lo sviluppo integrale della persona e della comunità secondo una concezione del pensiero economico che è propria della grande Scuola italiana che va dal Verri al Beccaria, da Carlo Cattaneo a Romagnosi.
Concezione che è propria, inoltre, della Dottrina sociale della Chiesa e che verrà esplicitamente posta a base dell’Enciclica Popolorum Progressio firmata da Paolo VI nel 1967:
“14. Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”.

Così intenso, lo sviluppo è qualcosa di più di una mera aspirazione. È un dovere in senso teologico:
“15. Nel disegno di Dio ogni uomo è chiamato a uno sviluppo…
16. Tale crescita (intesa come sviluppo integrale o crescita in umanità; ndr) non è d’altronde facoltativa (…). Così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri (…).
25. Mediante l’applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l’uomo strappa a poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo un miglior uso delle sue ricchezze (…). Mentre imprime una disciplina alle sue abitudini, egli sviluppa del pari in se stesso il gusto della ricerca e dell’invenzione, l’accettazione del rischio calcolato, l’audacia nell’intraprendere, l’iniziativa generosa, il senso della responsabilità”.

Credo che queste parole riassumano bene il concetto di sviluppo del quale Sturzo fu portatore sin da quando, nel Sabato Santo del 1895, sotto la congiunta influenza della Rerum Novarum, dei Fasci siciliani, degli studi romani all’Università Gregoriana, e della presa di coscienza delle miserie di un quartiere popolare di Roma che visitò in occasione della benedizione pasquale, decise di impegnarsi nel sociale: di fare cioè quello che la citata Populorum Progressio, sulla scorta del Concilio Vaticano II, raccomanderà ben 72 anni dopo.

Questa visione sturziana dello sviluppo come fatto integrale che risulta dall’intelligenza, dalla libertà di intraprendere, dalla volontà, dalla responsabilità e dalla legalità – incivilimento, come lo definivano i grandi pensatori laici italiani del ‘700-‘800 – presenta sorprendenti analogie con il pensiero di un altro grande italiano, Carlo Cattaneo, pubblicato in un saggio intitolato “Del pensiero come principio d’economia publica” del 1861, dieci anni prima della nascita di Sturzo. È improbabile che il sacerdote di Caltagirone abbia mai letto lo scritto di Cattaneo; ma rimarcare le analogie del pensiero economico in personaggi così diversi è importante per rivendicare il fatto che questa visione profonda ed umana dello sviluppo è una costante del grande pensiero italiano, sia laico che religioso, almeno a partire dall’Illuminismo lombardo.

Ed è importante sottolineare questo fatto anche e soprattutto oggi perché, al contrario, da almeno cinquant’anni la dominante teoria americana non solo identifica lo sviluppo con la crescita economica quantitativa ad ogni costo, ma ha anche alimentato un concetto distruttivo di crescita economica basata solo o prevalentemente sul capitale e sullo sfruttamento più cieco delle risorse disponibili. Questa impostazione oggi è probabilmente giunta al capolinea.

Emerge quindi la necessità di ripensare il concetto stesso di sviluppo. Ed è importante notare ed annotare questi incroci di idee e di pensiero tra i grandi economisti italiani, da Sturzo a Cattaneo, da Romagnosi a Gioia, da Pecchio al Beccaria e al Verri, incroci che risultano coerenti con gli insegnamenti sempre più interessanti della Dottrina sociale della Chiesa. È dunque questa concezione integrale dello sviluppo, inteso come incivilimento, tipica della tradizione italiana, che anima e guida Sturzo nell’azione sociale tra i contadini siciliani. Azione che si concretizza in molte direzioni. Fonda casse di mutuo soccorso, casse rurali di prestiti (la prima risale al 1895 e nel 1905 se ne contano già 145: uno sviluppo prodigioso) e cooperative. Organizza l’azione politica e amministrativa dei cattolici nel municipio di Caltagirone (1899: ha vent’otto anni). Diventa pro-sindaco con una maggioranza di 32 seggi su 40 (1905: ha trentaquattro anni); incarico, quest’ultimo, che conserva sino al 1920m(avrà quarantanove anni).

L’impulso decisivo all’azione sociale e pubblica fu dato a Sturzo dalla Rerum Novarum, come lui stesso ci ha raccontato. Tutto il suo pensiero e la sua azione economica si possono inquadrare alla luce dei principi di fondo di quella enciclica, che sono:

– è necessario avere sempre un’azione positiva a favore dei “proletari”;
– la soluzione socialista di accentrare la proprietà non è la risposta;
– l’uomo e la famiglia sono anteriori allo Stato;
– la proprietà richiede un uso produttivo come è di ogni bene che, pur individuale, è patrimonio comune del genere umano;
– lo Stato deve intervenire in via sussidiaria ed i limiti del suo interventi sono “determinati dalla causa medesima che esige l’intervento dello Stato”;
– né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro può stare senza il capitale.

Potrei sviluppare questa lettura in relazione ad altri documenti della Dottrina sociale della Chiesa, soprattutto in relazione alla Mater et Magistra (dove si legge: “39. Anzitutto va affermato che il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli cittadini”) ed alla Centesimus Annus; ma riprenderò questi argomenti un’altra volta.

Qui preme sottolineare solo che il pensiero e l’azione economica di Sturzo si muovono sempre dentro il sistema fissato da questi principi e da questi valori, e da essi ricevono forza e capacità di durare nel tempo. Egli è l’unico economista cattolico che si muove sempre all’interno della Dottrina sociale della Chiesa. Per questo egli è stato ignorato e deriso dalla grande maggioranza dei cattolici, dagli anni Cinquanta sino agli anni Novanta: perché i cattolici di questi decenni, ed anche la grandissima maggioranza degli uomini di Chiesa, non hanno né conosciuto né rispettato la Dottrina sociale della Chiesa, nonostante De Gasperi abbia assegnato alla nascente Democrazia Cristiana proprio questo compito.

Marco Vitale

da http://www.allarmemilano-speranzamilano.it