NEMMENO MONTI TAGLIERA’ LA SPESA

Vendere i gioielli nazionali, oppure spingere la metapolitica

Sergio Ricossa appoggiava così, nel maggio 1997, la formula di Giorgio Peterlongo industriale milanese in merito al debito pubblico: “Il suo merito è di voler correggere la disgraziata anomalia italiana del debito pubblico mediante un’altra nostra anomalia, questa volta felice: l’Italia possiede un patrimonio pubblico all’attivo enorme anche rispetto al debito pubblico al passivo. Ciò che la proposta ci invita a fare è spostare l’attenzione dal conto delle entrate e delle uscite allo stato patrimoniale (…) La semplice ricetta è alienare quote dell’attivo per rimborsare quote del debito pubblico”. In effetti era ed è una delle idee migliori affiorate dalla fine della guerra, in Italia e altrove in Occidente: anche perché muove dal realismo, anzi da due piani di realismo.

Il primo è quello del senso comune: chi è carico di debiti ma possiede gioielli e sale sontuose, venda i gioielli e le sale invece che fare assegnamento sulla temporanea incapacità a confiscare dei  creditori. L’altro piano di realismo è di percezione meno immediata, anzi richiede ragionamenti concatenati e complessi. In breve la proposta Peterlongo, ‘spostando l’attenzione allo stato patrimoniale’, valutava che le entrate non fossero aumentabili e le uscite non fossero tagliabili. Era un pessimismo storico da condividere.

L’ultimo mezzo secolo abbondante dovrebbe averci convinto che la politica, qualsiasi politica anche quella di Ronald Reagan, è incapace di incidere sulla spesa. Non solo nell’Italia di Fini e Fiom, anche nella Germania di Merkel, nella Francia di Sarko, negli USA di Obama, anzi del Federal Reserve System, operano congegni, diciamo così, di ‘stabilizzazione giroscopica”. Nei transatlantici più raffinati apparecchiature pesanti decine di tonnellate, con rotori, motori e un giroscopio pilota, smorzano e quasi annullano le oscillazioni del rollio e del beccheggio. Nelle società avanzate non c’è Thatcher che tenga: quando si ingrossano le spinte liberiste e ‘per uno Stato leggero’, entrano da soli in azione i girostabilizzatori: ricche dame che si mobilitano per Pisapia (un tempo Bertinotti) e per i centri sociali, figli di appaltatori senza cuore che lottano a fianco dei clandestini, capiracket sindacali che esigono la concertazione, vescovi che additano il ‘diritto al lavoro’ (diritto che la realtà nega e che comunque si asserisce solo a beneficio dei sottoproletari ultimi; non, per esempio, dei giovani laureati o dei disoccupati di mezz’età).

I giroscopi della solidarietà, del rimorso storico, della conta dei voti ed altri sventeranno sempre i tagli grossi alla spesa. Sono intoccabili gli sprechi mastodontici, i privilegi odiosi, le rapine quotidiane: si vedano le sovrapensioni e le liquidazioni dei grossi mandarini, di Stato e no. Dunque, dico io, la politica è impotente ad abbassare la spesa. Dovrebbe intervenire la metapolitica: spinte ideali, prima di tutto di natura religiosa, idonee a sospendere attraverso la crociata anticonsumistica i meccanismi della politica convenzionale.

E’ legittimo non credere al ruolo demiurgico della metapolitica. Però il debito pubblico va tagliato. La spesa quasi non scenderà. Le entrate non saliranno. O la metapolitica, concludo io, o vendiamo i gioielli spocchiosi e inutili, cominciando  dal  Quirinale  di Roma e dai quirinalicchi di provincia.                                                                                                          

A.M.C.