Contro la Gran Bretagna avevano ragione sia Charles de Gaulle sia, una ventina d’anni prima, Mario Appelius. Il Generale, finché regnò sulla Francia, sovrano prima plebiscitato poi ripudiato dalla plebe, proibì l’ingresso del Regno Unito nell’Europa. Il Regno la spuntò solo quando de Gaulle cadde e gli subentrò Georges Pompidou, il realista degli affari, della sofisticazione altoborghese e del rifiuto dei miti. Però il sovrano abdicato aveva visto giusto: i britannici avrebbero ucciso il sogno della unificazione europea (sogno peraltro non proprio fomentato da Parigi).
De Gaulle si vendicava. Per lanciare la straordinaria impresa della Libération -coronata addirittura da una finta vittoria militare sul III Reich e da vari anni di occupazione francese delle terre renane- de Gaulle aveva dovuto consegnarsi mani e piedi a Londra, e dipenderne non solo per le armi, anche per vitto e alloggio: da quello stesso 3 luglio 1940 che a Mers-el-Kebir le corazzate dell’ammiraglio inglese Somerville affondavano a cannonate la maggior parte della flotta francese ex-alleata. Winston Churchill, troppo a lungo osannato come nobile statista ma in realtà sanguinario uomo di guerra, responsabile primo della sciagura nazionale, non si fidò che gli ammiragli francesi negassero le loro potenti unità alla Germania vittoriosa (l’armistizio, chiesto da Parigi il 17 giugno 1940 e concesso da un Fuehrer per una volta abbastanza generoso, non imponeva la consegna della flotta al Reich).
Risultato, a Mers-el-Kebir il fuoco britannico uccise 1297 marinai, alleati fino a pochi giorni prima, e de Gaulle non poté fiatare.
Nemmeno poté fiatare nel 1945, quando aveva mandato un incrociatore e un corpo di spedizione a riprendere possesso del Libano e Churchill gli intimò di sgomberare “se non voleva sperimentare la potenza della VIII Armata” (quella che ad Alamein aveva battuto Rommel e gli italiani). Dopo Mers-el-Kebir de Gaulle sapeva che Churchill non avrebbe esitato a maciullare l’implausibile esercito gollista del Levante.
E Mario Appelius, chi era? Il più famoso commentatore politico del Regime fascista concludeva tutte (o quasi?) le sue analisi-concioni coll’invettiva “Dio stramaledica gli inglesi”. Appelius non era attendibile, naturalmente. Oggi però, considerato l’odio inglese, da Churchill a Cameron, nei confronti della patria europea, bisogna dire che l’arcifascista non sbagliava. Sarà processato ma non andrà in carcere e morirà poco dopo.
David Cameron, solo contro l’Europa intera, ha proclamato “Mai rinunceremo alla nostra sovranità”, laddove fare l’Europa implica appunto rinunciare alle sovranità pidocchiose. Che fine malinconica per la stirpe britannica: dall’orgoglio del massimo impero della storia moderna ad una difesa senza vergogna dei saldi contabili della City, difesa non molto dissimile dalle proteste dei negozianti nei giorni dell’aria avvelenata e cancerogena, quando vietano la circolazione. Povero Cameron capofila dei bottegai del mondo. Dovrebbero ingaggiarlo anche gli allevatori padani che sforano le quote latte (però non è detto gli andrebbe bene: il bottegaio-in-chief rischia di non contare più nulla, sfiduciato anche dai committenti Hillary Clinton, Thimoty Gardner e altri assistenti di Obama).
Ebbero ragione anche i fantaccini quasi scalzi, semiaffamati e vittoriosi del Sol Levante, quando derisero l’Union Jack: essa si credeva invincibile ma a Singapore e in Malesia si arrese ignominiosamente. Povera stirpe britannica, finita a passare le notti sui marciapiedi londinesi per godere pochi secondi della vista di una regina insignificante, rimasuglio della grandezza. Sfortunati i suoi sudditi, decaduti da corsari di Sir Francis Drake e da conquistatori di subcontinenti a commessi dello Stock Exchange e a bird-watchers !
Per farsi rilasciare un passaporto del Canada, chi scrive giurò fedeltà ad Elisabetta, la quale capeggia lo Stato canadese solo quando lo visita. Chi scrive si felicita che le visite siano rare. Ha fatto bene la bandiera del Canada a liberarsi delle croci british (San Giorgio e Sant’Andrea), a favore di un’amabile foglia d’acero. Oggi parecchio più gloriosa della Union Jack.
Anthony Cobeinsy