GERMANIA: QUARTO REICH O WEIMAR 2?

Un catastrofista -senza dubbio uno che normalmente sbaglia, e qualche volta no- avrebbe il diritto di affermare: contro tutte le apparenze la salda Germania si trova di nuovo a un bivio fatale. O si fa condottiera, cioè  egemone, di un’Europa da unificare volitivamente, oppure rischia di trovarsi Die Zweite Weimarer Republik.

Dio sa se qui si vuole dir male della repubblica di Weimar, sfortunato tentativo, 93 anni fa, di far nascere una Germania di pace. Tuttavia i fatti della storia sono crudi. Weimar non fu solo assassinata da Hitler; fu anche il grembo che generò il matricida. Il socialdemocratico Otto Braun, che fu importante Ministerpraesident della Prussia, scrisse che furono due le cause del fallimento di Weimar: Versailles e Mosca (quest’ultima per l’errore d’aver visto la Germania sconfitta come il grande paese d’Occidente più maturo per la rivoluzione). Invece Otto Braun avrebbe dovuto aggiungere un terzo assassino, l’ingenuità o l’inefficienza politica del popolo germanico. Essa risaliva a mille anni prima, quando la stirpe tedesca non seppe usare quella formidabile leva ghibellina che era l’Impero, e il grande Federico II svevo si trovò angariato da un papato prevaricatore e dai botoli suoi seguaci periferici.

L’ingenuità nazionale si fece irreversibile tra il 9 novembre 1918 (proclamazione della repubblica)  e il 30 gennaio 1933 (avvento di Hitler). Anzi l’inanità moderna dei tedeschi in politica si dispiegò esattamente 150 anni fa, quando Bismarck prese il governo della Prussia e la nazione, inclusi gli avversari, si fece stregare dall’imperioso carisma del nuovo cancelliere. Il popolo più importante d’Europa, il più colto del mondo, decise di non essere adulto per la politica. Così dal bismarckismo accettò la modernizzazione autoritaria (ma anche l’avvio del welfare, insuperato agente di consenso, anzi di giustizia). Mezzo secolo dopo i tedeschi accettarono dal pensiero unico di Weimar l’abbaglio della supremazia della Costituzione, della democrazia e delle elezioni; dimodoché l’Adolf Hitler in cilindro esercitò il diritto di farsi Fuehrer in quanto capo del primo partito del Reichstag. I troppo numerosi cancellieri repubblicani, prodotti del parlamentarismo e della democrazia, furono il simbolo e l’essenza stessa della ‘Deutsche Republik’ lanciata da Ebert e Scheidemann.

Migliaia di libri sono stati scritti sul sopruso compiuto nel marzo 1933 dalla classe di potere (con buona pace dei tremendi spartachisti del ’18, poi dei duri del partito comunista KPD, comandavano i magnati della finanza e gli Junker dell’Est). Quasi tutti sanno che il colpo di far cadere il governo Schleicher e di chiamare Hitler fu opera dei personaggi più vicini al feldmaresciallo presidente Hindenburg: l’ex-cancelliere von Papen, il banchiere Schroeder, il figlio Oskar von Hindenburg, il segretario di Stato Meissner, pochi altri.

Quando il ‘generale sociale’ Kurt von Schleicher, predecessore di Hitler, aveva tentato nei tre mesi  alla Cancelleria di mettersi al di sopra degli antagonismi tra classi e tra gruppi, il popolo si era aperto a lui perché era apparso l’uomo forte che avrebbe dato lavoro ai disoccupati. Ma Schleicher  non era forte. Due giorni prima dell’avvento di Hitler fu rovesciato dai fiduciari di Hindenburg, che temevano il socialismo e la rovina dei grandi agrari. L’opinione pubblica si fece convincere  che lo stato d’emergenza consigliato da Schleicher era un attentato alla legalità costituzionale, mentre Hitler l’avrebbe difesa. Schleicher morirà assassinato nel giugno 1934. Come osserva lo storico Golo Mann, figlio di Thomas, a Hitler la Costituzione importava così poco che non si curò di abrogarla. La conquista hitleriana del potere avvenne legalmente, non fu un colpo di Stato. “Gran parte del popolo voleva Hitler. La sua nomina corrispose a un principio essenziale della democrazia”.

La nazione e il mondo, aggiungiamo noi, devono Hitler alla democrazia.

Anche queste cose fu Die Weimarer Republik: la credulità democratica, il legalismo costituzionale, la correttezza politica, la rassegnazione ai mali del parlamentarismo, la paralisi della decisione per i conflitti tra i partiti di massa, la modestia del personale dirigente repubblicano, l’eccessivo rispetto del congegno generato dalla sconfitta militare, l’ipertrofia stessa della ragionevolezza disciplinata.

Alcune di queste  anomalie potranno agire nella Bundesrepublik. Se la sua classe dirigente perderà l’occasione “imperiale” offerta dalla rifondazione dell’Europa; se prenderà troppo sul serio i trattati; se prevarrà il rispetto delle procedure, delle logiche istituzionali, della legalità; se continuerà il divertente perbenismo per cui Berlino è pari a La Valletta; più ancora, se la Germania si impoverirà assieme all’Unione e a una parte del mondo, qualcuno con la tempra necessaria si ergerà ad accusatore e ad eversore. Non occorre sia un nuovo Hitler.

Basterà un demagogo minore, capace di convincere che la Germania avrebbe potuto farsi  Caput Europae.  Che un ordine meritocratico del mondo dovrebbe esaltare  il retaggio germanico. Che lo Herrenvolk non doveva abbassarsi a dipendere dal veto di Lilliput. Che Merkel o altri saranno stati gli Ebert, gli Erzberger, i Rathenau dei nostri giorni, succubi di una nuova Versailles. I gestori d’oggi, poveri di estro creatore e ipoassertivi, potranno essere scalzati sia dalle macchinazioni dei nemici -la Gran Bretagna, gli USA, i loro clientes- sia dalla vendetta della nazione.

Un quarto Reich potrà essere più fortunato dei primi tre.

A.M.Calderazzi