La naranja es amarilla
y el limon color de cagna
y en medio de las Antillas
està el corazòn de Espagna
Cuba, si usa dire, era la colonia prediletta della Spagna, la Perla de las Antillas, e questo fece terribile la sua perdita, nel 1898. Quell’anno gli Stati Uniti fecero non la prima ma la più clamorosa prova, allora, quale grossa potenza imperialista. I pretesti anticiparono di 43 anni quelli, bugiardi, di F.D.Roosevelt ai danni del Giappone, e di oltre un secolo quelli di G.W.Bush. Che gli spagnoli avessero fatto saltare nel porto dell’Avana la corazzata ‘Maine’; che il loro dominio sull’isola fosse oppressione; che i metodi repressivi del comandante supremo iberico Weiler fossero inumani; che la guerriglia antispagnola fosse tutta fatta di eroi idealisti. In realtà il Manifest Destiny dell’espansione ininterrotta richiedeva anche quelle conquiste: Cuba, Puerto Rico, le Filippine. Il 3 luglio di quell’anno fu facile alla modernissima, già possente flotta statunitense affondare senza alcuna perdita, al largo di Santiago de Cuba, tutti i vascelli, ancora di legno, dell’Armada spagnola.
Cuba cambia padrone e qualche anno dopo viene proclamata ‘indipendente’. Distante 90 miglia dalla Florida, chissà fino a che punto si sarebbe saldata agli USA se non ci fosse stata la rivoluzione di Castro. In ogni caso i cubani non voltano le spalle alla Spagna. Il legame dei creoli coll’antica madrepatria non si spezza. I flussi di uomini e di sentimenti continuano. Anzi, dicono i musicologi -questo pezzo riguarda la musica- più di prima la Antilla Mayor offre alla Spagna i suoi straordinari canti e danze: la habanera innanzitutto. In questo senso, la Spagna essendo al cuore dell’Europa, Cuba è di tutti gli europei: quanto meno di coloro che si sentono parte dell’ecumene musicale più importante della storia.
Solo in piccola parte è l’elemento autoctono, isolano, che Cuba esporta in Europa attraverso la Spagna. Il materiale musicale cubano è il prodotto del vasto meticciato che l’isola vive dai primi decenni della dominazione spagnola. L’ibridazione più importante è coll’Africa. Di lì vengono anche strumenti essenziali quali le congas e i bonghi.
Il continuo andare e venire, Ida e Vuelta, sulle due sponde dell’Atlantico, forgia un linguaggio musicale comune. Forse dobbiamo precisare che in Europa è il barocco che accetta creativamente gli apporti ispano-cubani. Necessita sottolineare l’importanza delle sarabande e delle ciaccone che vengono dall’America spagnola, alimentando in primis la musica andalusa?
Nei primi secoli della colonia antillana la musica era affare dei negri, mal visto dalla società creola, la quale limitava al canto liturgico il proprio apporto all’ambiente musicale dell’isola. Ambiente incredibilmente denso: nel solo 1769 si contarono a Cuba 534 fiestas, con le relative tonadillas, seguidillas, tiranas, carambas e fines de fiesta. Gli schiavi e i liberti originari del Continente nero sono i protagonisti dei generi cubani. E attraverso Cuba la presenza dell’Africa nella musica spagnola, allora in quella popolare, si fa ingente.
Nei secoli XVI e XVII furono soprattutto gli andalusi ad andare a Cuba; dietro di loro i castigliani, gli estremegni, i leonesi. Invece nell’Ottocento e Novecento prevalsero asturiani, catalani, galiziani. Tra questi ultimi c’era anche un antenato, forse il padre, di Manuel Fraga Iribarne, l’uomo che negli anni Sessanta-Settanta del Novecento sarà probabilmente il maggiore statista di Spagna. Verso la fine dell’Ottocento arrivarono a Cuba anche cinesi, indiani, indii dello Yucatan. Ma furono le piantagioni di canna da zucchero a provocare una ‘brutal avalancha’ di schiavi neri. Generarono una ricca cultura afro-americana che si amalgamò agli apporti iberici.
Come abbiamo detto, la perdita dell’isola non comportò la fine dell’afflusso degli spagnoli. Lo stesso José Martì, padre dell’indipendenza cubana, incoraggiò gli spagnoli vinti a restare nell’isola come cittadini della Repubblica.
A voler additare i prodotti nobili dell’innesto dei suoni cubani, dunque in prima linea della forma habanera, nell’habitat europeo bastano poche citazioni. Per esempio l’ habanera che Georges Bizet inserisce nell’Atto primo della ‘Carmen’. Nel Vecchio Continente i compositori francesi sono i più affascinati da ritmi e melodie a sud dei Pirenei. Claude Debussy, maestro assoluto, dedica espressamente lavori alla Spagna utilizzando materiali riferiti all’habanera: si veda la seconda delle tre ‘Estampes’ che reca il titolo ‘La puerta del vino’; e il numero 3 del secondo libro di Preludi, ‘Soirée dans Grenade’. Per non parlare di ‘Iberia’, grande affresco orchestrale.
Anche Maurice Ravel è stordito dalle suggestioni spagnole. Il più popolare dei suoi lavori è ‘Bolero’, danza venuta da Cuba. Inserisce un’habanera nella ‘Rapsodie espagnole’, tema presente anche nel finale dell’opera ‘La hora espagnola’, nonché in ‘Vocalise en forme de habanera’. Emmanuel Chabrier (‘Espagne’) e Camille Saint-Saens attingono anch’essi gioiosamente al profondo pozzo spagnolo.
Per non parlare dei compositori al di là dei Pirenei che valorizzano largamente l’habanera e il tango come ritmi base. Nelle pagine scritte prima del Desastre del 1898 immettono pezzi ‘cubani’ -dedicati alla Perla delle Antille- quali componenti di lavori dichiaratamente spagnoli. Così la ‘Cubana’ di Manuel de Falla, seconda delle ‘Cuatro piezas espagnolas’, e il tema di habanera che compare nella ‘Notte nei giardini di Spagna’. Isaac Albeniz dà il nome di Cuba ad una delle otto Piezas di cui si compone la ‘Suite spagnola per piano’. L’ultima citazione, inevitabile data la grandezza del compositore, spetta a Enrique Granados, morto nel 1916 nel siluramento del transatlantico che lo riportava dall’America. Con ‘Tango de los ojos verdes’ pagò tributo alla danza venuta da Cuba.
Insomma il nazionalismo musicale spagnolo fu un amalgama di componenti iberiche e antillane, queste ultime sbarcate a Cadice e a Siviglia dai velieri che venivano dall’Avana. Le avanere e le altre danze ‘americane’ si calarono nei canzonieri delle varie regioni di Spagna: nacquero habaneras castellanas, vascas, asturianas, gallegas, catalanas (si parla meno, forse, di andaluzas). Anche il fandango sembra originato nell’Iberoamerica.
Una gitana africana
me llamò un dìa y me dijo asì:
si te embarcas para La Habana
moreno mìo llevame a mì
Antonio Massimo Calderazzi