Ho letto con interesse l’articolo del Card. Scola sul Corriere del 20 novembre scorso, sul tema “l’amore autentico è per sempre”. Nell’articolo viene affrontato l’amore coniugale e ne viene argomentata l’indissolubilità, chiamando a modello la dedizione totale e irreversibile, l’amore totalmente disinteressato di Gesù, esempio principe per tutti i Cristiani.
Il messaggio di Scola toccherà sicuramente il cuore di quanti credono sinceramene ed hanno una visione rigorosamente cristiana dell’amore, e in particolare dell’amore coniugale.
Tuttavia, la crisi del matrimonio, della vita di coppia, e più in generale, le difficoltà di rapporto fra individui a tutti i livelli, necessitano a mio giudizio un’educazione “laica”, e non confessionale, all’amore: amore che ha un ruolo profondo nella società anche al di fuori della concezione religiosa della vita. Dunque, un’educazione all’amore “laico”, che non ritengo affatto in contrasto con quello cristiano, ma semplicemente diversamente motivato all’origine.
Scola parla “educazione all’affetto”, ed è giusto, ma parliamo invece, in modo più esplicito e diretto di “educazione all’amore”: amore inteso non come un sentimento più o meno collegato ai propri bisogni di affetto, di sesso, di appoggio e sostegno; non come una serie di atti e gesti tesi a tenere legato a sé l’oggetto del proprio cosiddetto amore. Bensì, amore inteso come scelta concreta quotidiana di fare, di costruire qualcosa per e insieme al prossimo (compagno o compagna, famiglia, comunità, gruppo di lavoro ecc.).
Questo amore è a mio modo di vedere un modo di vivere, che porta ad adoperarsi quotidianamente, e che oggi si vede attuato da molte persone religiose e laiche.
L’educazione all’amore è quindi l’educazione ad avere attenzione al prossimo (prossimo inteso come chiunque venga in contatto con noi), alla sua persona in tutti i suoi aspetti; attenzione che non è solo rispetto, ma che comprende rispetto, comprensione, tolleranza, aiuto, solidarietà; e il suo fine non è uno sterile annullamento di se stessi, ma la realizzazione di un progetto, che comprende noi e tutti quelli con cui abbiamo contatti.
Quanto ho scritto non è nulla di nuovo; questi concetti sono passati anche nel nostro ordinamento civico, nel quale, ad esempio, i principi di rispetto della persona e della pluralità di culture e opinioni e di solidarietà sociale ne sono l’istituzionalizzazione. Tuttavia non vedo spesso, nell’educazione scolastica e familiare impartita ai ragazzi, e neppure nell’educazione mediamente impartita dagli istituti religiosi, un chiaro richiamo a questi principi e un profilo educativo ad essi esplicitamente ispirato.
E quando si parla di “indissolubilità” di un rapporto di amore, la motivazione prima dovrebbe essere a mio modo di vedere la dedizione al progetto sotteso a questo rapporto, dedizione che non può venir meno fino alla sua compiuta realizzazione. Questo progetto coinvolge una pluralità di individui con ruoli ben definiti (ad es., una famiglia con genitori e figli), e ciascun membro deve essere – e sentirsi – parte attiva e insostituibile, e in tal senso, pur mutando nel tempo il suo ruolo nell’ambito del progetto, non può e non deve abbandonare il progetto stesso.
E quando si parla di famiglia, famiglia intesa anche come cellula della società, è facile comprendere come il progetto possa naturalmente coinvolgere l’arco intero della vita dei coniugi.
G.C.