Un pensiero politico fertile, non quello dei nostri politologi
Di solito le varie professioni hanno nelle università, laboratori e think tanks, persone che fanno ricerche, a volte invenzioni, grazie alle quali le loro scienze avanzano. Nello Stivale la politica ha politologi che non inventano niente: sapete di alcun avanzamento della nostra scienza della polis? Libri corsi dottorati convegni pensiero unico temi di attualità scottante: Gobetti, Burke, Machiavelli, Aristotele. Qualcuno si spinge a riscoprire Karl Marx o a inneggiare alla libertà.
D’altronde lo Stivale ha Massimo Gramellini, che per fortuna fa il vicedirettore di un quotidiano invece che l’inutile politologo. Nella sola prima settimana di novembre u.s. due ‘Buongiorni’ di Gramellini hanno aperto, senza farla difficile, altrettante finestre su un futuro migliore. Una è che, la nostra democrazia essendo “una caricatura, una peggiocrazia (governo dei peggiori)”, la prospettiva di salvezza esiste. Non, ovviamente, grazie alle ”sacrosante primarie”. Invece grazie al “coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto”.
Naturalmente è da secoli -in particolare in casa nostra dall’allargamento del voto nel 1919, coi risultati fecali che conosciamo- che si negano le virtù del suffragio universale. Gramellini invoca “un esame preventivo di educazione civica e di conoscenza minima della Costituzione” che rimedi alla “immaturità del nostro elettorato” (“Se i Mario Monti si presentassero alle elezioni, perderebbero. Verrebbero surclassati da chi conosce l’arte della promessa facile e dello slogan accattivante”). Ha confessato un noto politico, Jean-Claude Juncker, primo ministro del Lussemburgo: “Sappiamo benissimo cosa fare. Quello che non sappiamo è come farci rieleggere dopo averlo fatto”.
Anche per Gramellini il suffragio universale è tutt’altro che una conquista: “Non posso guidare un aereo senza superare un esame di volo”. Dunque, così come pochissimi possono pilotare, pochissimi dovrebbero votare. Peraltro: ammiratore come sono del Gramellini teorico della politica, obietto alla levità e insipienza dell’esame che propone per miniaturizzare -a 1 o 2 milioni, dico io- la vera Polis; ossia per espellere gli elettori che, quasi tutti, “per ignoranza, corruzione, menefreghismo” privilegiano i peggiori. Domanda: possibile che il Nostro prenda sul serio la disciplina scolastica dell’educazione civica? Peggio, molto peggio, possibile che annetta importanza “alla conoscenza minima della Costituzione”? La Costituzione, arnese e passione della Casta, struttura portante della peggiocrazia, è utile quanto una lampadina fulminata.
La risposta alle mie obiezioni è nelle parole sante del primo dei due Buongiorni: “Uno dei frutti velenosi di questa crisi è che abbiamo smesso di credere nel potere della democrazia di migliorarci la vita”.
Gramellini considera emblematica la contrapposizione “tra due pesi massimi del nostro immaginario, Steve Jobs e Barack Obama: il primo chiese al secondo di garantire il permesso di soggiorno agli stranieri che si laureavano in ingegneria negli Stati Uniti. Obama rispose che gli mancavano i voti per far approvare la riforma dal Congresso. Jobs si imbestialì”. Aggiunge il Buongiorno del 1° novembre: “Il cittadino confuso e infelice si riconoscerà nel pragmatismo autoritario di Jobs, uno che non doveva mediare con nessuno. Obama incarna invece l’impotenza della politica: anche quando si riempie la bocca di cambiamento, deve misurarsi coi meccanismi della democrazia che ne rallentano e depotenziano le decisioni. L’idea che per cambiare la politica basti cambiare i politici è una pia illusione che si rinnova ad ogni campagna elettorale. Bisogna cambiare le regole: di funzionamento e di rappresentanza. La democrazia è partecipazione. Si può ripartire solo da lì. Prima che i cittadini esasperati imbocchino la solita scorciatoia del dispotismo.”
Alcuni di noi sosteniamo queste cose dalla prima uscita di Internauta, e qualcuno da decenni. La democrazia è talmente partecipazione che va cancellato il concetto di rappresentanza. La delega ai politici attraverso il voto dovrà un giorno risultare un perfetto assurdo (nessuno si illuda che arrivino politici meno spregevoli). Se non si inventerà qualcos’altro, il voto va sostituito dal sorteggio all’interno di un ristretto corpo sovrano di cittadini elitari, a loro volta sorteggiati per turni brevi -il mestiere di politico a vita va ucciso- tra persone migliori delle altre in quanto possiedano determinati requisiti (cultura, esperienze di lavoro, meriti dimostrabili quali il volontariato -v. a quest’ultimo proposito un pezzo specifico in questo Internauta).
Lo sviluppo logico della teoria Gramellini dovrebbe essere: una volta estromessa dalla cittadinanza sovrana la massa degli inutili e dei nocivi “per ignoranza, corruzione, menefreghismo”, i pochi e migliori non dovrebbero affatto votare, cioè delegare, cioè mettersi nelle mani della gentaglia elettiva. Dovrebbero deliberare e governare, a turno. La teoria moderna della democrazia diretta offre vari meccanismi perché i Meritevoli, i Supercittadini, esercitino la sovranità, come ad Atene facevano in pochi. La giustizia penale, la quale è del popolo non dei magistrati professionali, non è amministrata da campioni di popolo (giurie) tratti a sorte? L’ipotesi di “macrogiurie” che gestiscano a turno la sovranità a nome della nazione intera, ma non attraverso la frode elettorale, è stata derivata un ventennio fa, da uno degli istituti del sistema ateniese, in alcune università degli USA: nelle quali, non come nelle nostre, si cerca a volte di inventare il nuovo.
Le nostre cose cambieranno da così a così quando i Gramellini, in coerenza alla conclusione “abbiamo smesso di credere nel potere della democrazia attuale di migliorarci la vita” annunceranno “la democrazia va cambiata in tutto, e e si può”.
A.M.C.