QUIRINALE, ASTA PER VENDERLO

UNA VIA DI SALVEZZA VI 

Molti, quasi tutti, invocano che si smobilizzi in grande il patrimonio immobiliare pubblico. Lo si dovrà fare, quando le manovre non basteranno e  il soccorso dell’Europa e di Pechino verrà meno. A quel momento metteremo a frutto arcipalazzi caserme poligoni di tiro altri templi del superfluo.

Però quasi nessuno sostiene alto e forte che il primo dei templi da offrire al mercato -globale, manco a dirlo: ci mancherebbe che dovesse restare italiano- è il Quirinale. Il primo, non l’ultimo: per ragioni morali. Che la reggia papale-sabauda sia sede della nostra presidenza è uno dei proto-misfatti del regime sorto alla cancellazione della monarchia. Il palazzo edificato fastoso (1574) sui giardini del cardinale Ippolito d’Este, figlio di Lucrezia Borgia santadonna, da papa Gregorio XIII Ugo Boncompagni, poi per 372 anni abitato dalle corti di sovrani prima ‘spirituali’ come i sommi pontefici, poi piemontesi, è il prodotto e il simbolo di malazioni gravi. I papi spesero in lusso quirinalizio ricchezze che erano state donate ai poveri di Cristo (altre ricchezze andarono ai parenti dei Servi dei servi di Dio).

Il primo dei monarchi piemontesi non sentì il dovere di scegliere una sede più modesta per il suo Regno che nasceva con tanta tubercolosi e tanta pellagra. Suo figlio, chissà perché denominato Re Buono -fece sparare i cannoni contro gli affamati milanesi del 1898- esigette per la sua corte una dovizia pari a quella degli Hohenzollern a Berlino. Le cronache dicono che al Quirinale teneva mille cavalli, nutriti meglio delle mondine; e che mai permise limature alla sua Lista civile. Era talmente buono che lo ammazzarono. Dunque l’edificio sul Colle era già il palazzo delle infamie quando vi entrò il futuro Imperatore d’Etiopia. E se il classismo dell’Ottocento legittimava gli elevati livelli d’apparato imposti all’Erario dall’Augusta Coppia (Umberto e Margherita), l’infamia assoluta risaliva a un papa che detestava spartire coi poveri il denaro di questi ultimi. Per non essere frainteso: vado in chiesa con convinzione.

Nel palazzo del vituperio volle sistemarsi la Repubblica che si disse nata dagli eroismi e dai delitti della resistenza. La stessa cosa volle fare nel 1931 la Repubblica di Spagna: si insediò nella reggia di Alfonso XIII. Non le portò fortuna: nel Palacio de Oriente sono tornati i Borboni.

E’ impossibile indulgere sulla scelta dell’Edificio dei misfatti da parte dei Padri della repubblica, sorta sulle macerie della guerra e voluta soprattutto da partiti di popolo. Lo Stato nuovo avrebbe dovuto ripudiare la pompa e l’elitismo monarchici, cioè la distanza dalle masse, a quel momento vestite di stracci. Quello dei Padri dello Stato nuovo fu aperto tradimento della coerenza  (un tempo si chiamava ‘virtù’) repubblicana.

Alcuni dei successori del primo presidente Enrico De Nicola furono persone per bene. Però, a parte le economie lillipuziane annunciate dal presente Inquilino, nessuno dei Primi Cittadini si impegnò a cancellare la repellente identificazione tra valori repubblicani e gli specchi, arazzi e  giardini borgieschi voluti da Gregorio XIII, uno tra i meno evangelici dei pontefici (fece ‘generale di Santa Romana Chiesa’ e capostipite di vasta famiglia principesca, ricca di cinque cardinali, suo figlio Giacomo). La congiuntura del 2011, infine, che ha fatto cancellare provvidenze a favore dei bambini più sfortunati di tutti, avrebbe dovuto muovere l’Inquilino attuale a tagliare con la mannaia, non con le forbici da unghie, l’offensivo bilancio del Quirinale. Avrebbe dovuto ricordare d’essere stato in gioventù dalla parte dei poveri.

Un giorno, quando verrà o faremo la Seconda Liberazione, l’ufficio di capo dello Stato si ridurrà alla dimensione cerimoniale e sarà ricoperto a turno, per sette mesi non anni, da persone qualificate scelte a sorte. La Confederazione elvetica non ha un capo dello Stato, in pratica. Ma se invece la Costituzione dei cleptocrati – il Guitto fa bene a chiamarli Cozze: molluschi ma ladri- si dimostrerà intoccabile, ugualmente il bilancio del Quirinale dovrà essere tagliato di tre quarti. Il palazzo turpe andrà venduto, la Presidenza trasferita in una palazzina consona al rango medio-modesto spettante al protonotario che riceve eroiche salme dall’Afghanistan, e comunque vicina alla misura della presidenza della Bundesrepublik a Bonn.

Da vendere anche le residenze accessorie Rosebery, San Rossore, Castelporziano, etc. Licenziati fino all’ultimo i corazzieri – li sostituiscano ben più meritori vigili del fuoco o urbani-, eliminati quasi tutti i valletti lacché palafrenieri giardinieri e ancora la turba di ciambellani, consiglieri, commessi di lusso pagati come cardiochirurghi. Non pochi dei quali cortigiani, temo, abitano gratis, figli e parenti compresi, le più belle tra le stanze romane, arredate con i lasciti di chi temeva le fiamme dell’Inferno. Io conosco i familiari di un gentiluomo che visse e morì nella reggia di cui parliamo. Perché non dovrebbero morirvi i suoi colleghi cortigiani d’oggi? Sarebbe discriminazione contro la gloriosa repubblica per instaurare la quale- e averla lussuosa- gli avvocati antifascisti languirono al confino, i gappisti uccisero e furono uccisi.

Oltre a tutto: ai valori raggiunti dal Real Estate romano, gli acquirenti cinesi, russi o degli Emirati pagheranno cifre astronomiche per i saloni dei papi-re, ideali set per telefilm in costume. Pazienza se i successori lontani di Enrico De Nicola daranno garden parties più alla buona. E se gli smisurati corazzieri saranno mandati a dare le multe.

JJJ