MEGLIO NON CRESCERE

UNA VIA DI SALVEZZA I

La crescita, al punto in cui siamo, è nemica dell’uomo (esige più consumismo e più devastazione dell’ambiente) ma è anche una chimera. Non il mostro, in fondo simpatico, del mito greco (muso di leone, corpo di capra, coda di drago, fiamme dalla bocca). Bensì la chimera del dizionario Devoto-Oli: “Ipotesi assurda, sogno vano, utopia”. Milioni di voci si levano a invocarla, dai bonzi dell’economia accademica ai guru alla buona dei quotidiani gratuiti, dai bar Sport ai moniti del Colle. Ma, p.es. in Italia, nessuno dice con precisione cosa -di diverso dagli interventi pubblici che dilatano il debito e la corruzione- farà risorgere la crescita. Le liberalizzazioni, le razionalizzazioni, i tagli ai costi della politica arriveranno, forse, quando sarà troppo tardi.

Un ingigantimento dell’export, è difficile. Non ci sono solo Cina e Corea a toglierci i mercati. Aumentano le imboscate da un pulviscolo di produttori inaspettati. C’è persino un improvviso ‘miracolo’ dell’Angola, dove i portoghesi, ex-padroni coloniali, arrivano per trovare lavoro. E’ certo: spunteranno altre Angole, oggettivamente beneficate da mezzo secolo di conquiste sindacali in Occidente. Inutile dire che i proletari dei paesi poveri meritano il beneficio.

Questo o quel comparto del nostro export potrà riprendersi alquanto ma, concomitando l’arretramento di altre nostre produzioni, non saprà far avanzare l’economia intera, cioè produrre crescita. Resta il mercato nazionale. Chi sa immaginare che la domanda interna si gonfi al punto di riaprire le fabbriche di auto o di elettrodomestici, o i cantieri navali già chiusi o di imminente chiusura? Quando risorgessero le risorse per comprare p.es. autobus, chi dice che sarebbe Irisbus a ricevere commesse e non i concorrenti prestigiosi come Mercedes e Volvo, oppure quelli nuovi arrivati dall’Asia o da altrove? Certo, la politica da Roma potrebbe costringere il settore dei trasporti collettivi a preferire Irisbus; ma poi dovrebbe vedersela coll’Europa. Non stiamo pagando 3,5 miliardi per infrazioni alle quote latte? Quando potesse fare acquisti, il settore del trasporto persone comprerebbe sul mercato concorrenziale. Peggio per le navi. Più le maestranze in lotta occupano le autostrade, più confermano che i nostri cantieri non hanno commesse. Le navi sudcoreane costano meno e nulla da dire sulla loro qualità.

Un editoriale di ‘Repubblica’, massima gazzetta del consumismo chic e del denarismo progressista, ammette il 5 ottobre: “Bisogna cominciare a dire che in Occidente non riusciremo a crescere come ieri. Il nostro futuro sarà fatto di meno consumi: Non di crescita zero, purché sia un crescere diverso”. Chi ha scritto l’editoriale, Barbara Spinelli, è troppo pensatrice perché ci chiarisca se il ‘crescere diverso’ richiederà o no più Pil. Le resta il merito di avere pronosticato un futuro fatto di meno consumi, cioè di negazione di quell’edonismo che fece la fortuna di ‘Repubblica’ e ‘Espresso’, organi non solo della Bella Gente moderna e liberata, ma anche e soprattutto dei borghesi piccoli piccoli che aspirano ai consumi  e all’allure  della Bella Gente.

Torniamo alla Chimera. Perchè la crescita non sia ‘ipotesi assurda, sogno vano, utopia’ occorrerà che il possente Mercato occidentale esca dalla recessione. Che non si ingrossi l’aggressività commerciale dei paesi di nuova industrializzazione. Che infine le economie come la nostra creino produzioni originali le quali resistano abbastanza a lungo alla concorrenza dei paesi non ancora guadagnati all’edonismo e alle conquiste sindacali.

Sono le speranze che cullano gli ambienti colpiti dalla crisi. Ma essi mirano ai loro vantaggi, non al bene generale. Questo bene non si identifica più nella prosperità materiale. La riscossa dei consumi è da temere, non da desiderare (v. in questo ‘Internauta’ di ottobre il nuovo intervento di “Die Zeit”, contributo di Franco Soglian). Almeno i segmenti sociali più coltivati ripudieranno gli imperativi che hanno imperversato finora.

Dovranno accettare l’abbassamento del tenore di vita. Scoprire la sobrietà, la vita semplice, la povertà persino: anche perché sarà una povertà senza le ferocie del passato. I poveri saranno aiutati (parsimoniosamente ma coprendo le necessità) grazie all’avocazione dei redditi più alti. All’atomismo dell’agiatezza individuale -tanti mutui prima casa, tante cantinette e tanti garage quanti percettori di redditi all’antica- succederanno modi nuovi di organizzazione della sobrietà e del reciproco soccorso (v. in questo ‘Internauta’ i pezzi “Un’opzione nuova per i disoccupati definitivi”, “Guild Socialism contro le disfatte  moderne  dell’equità”, “Marx non tornerà. Però l’Impero del soldo si è ammalato”). Divamperà la ribellione liberista-consumista, ma risponderanno forme inedite di solidarietà e di disciplina delle comunità.

Ormai tutti siamo andati a scuola e abbiamo viaggiato: molti di noi abbiamo avuto le opportunità di evoluzione culturale che ci affranchino dai tabù del passato. L’accrescimento della prosperità materiale è ormai un valore negativo -come il vestito buono e la cravatta la domenica- che appiattisce verso il basso e imbruttisce la vita.

A.M.C.