“Il top 1% delle famiglie americane prende per sé quasi un quarto del reddito di tutte le famiglie, ripartizione che non si vedeva dal 1929. Un’economia così non può prosperare (…) I lavoratori dei livelli inferiori sono schiacciati dalla concorrenza straniera, al tempo stesso che i guadagni dell’alto management salgono alle stelle.. La globalizzazione ha accelerato lo svuotamento di interi settori manufatturieri: abbigliamento, automotive, tessile. Per parlare chiaro: su molti fronti industriali non siamo in grado di competere”.
Fin qui Jeffrey D. Sachs, famoso cattedratico della Columbia Univ. Joseph E. Stiglitz, premio Nobel, insiste piuttosto sul punto che l’economia americana ha una massiccia sovracapacità produttiva: “Milioni di persone lavorano part time perché la domanda è bassa. Rischiamo seriamente che una disoccupazione ben superiore al 4-5 per cento di un tempo divenga la ‘nuova norma’”. Al momento i disoccupati ufficiali sono il 9%.
Altri osservatori valutano che il problema della povertà negli USA non è stato tanto aggravato dalla caduta dell’occupazione (la recessione ha cancellato 6-7 milioni di jobs), quanto da una malattia molto più strutturale: la mobilità verso il basso. In settembre il Census Bureau ha reso noto che la percentuale dei poveri ufficiali è la più alta mai registrata nei 52 anni delle rilevazioni al riguardo. Il 15% abbondante degli americani vivono al di sotto della linea di povertà, a due anni dell’avvio della cosiddetta ripresa. C’è una scuola di pensiero secondo la quale sono 20 anni di ‘hyperglobalization’, con la perdita di decine di milioni di posti di lavoro, piuttosto che la disoccupazione presente, che hanno reso pesante la povertà. In termini reali i lavoratori blue collar guadagnano meno di 40 anni fa.
“Il Sogno Americano si è infranto nella misura in cui faceva sperare in una ‘upward mobility’ permanente” conclude Rana Foroohar, columnist di “Time”. “The American Dream is becoming a Myth. Già prima della crisi l’America aveva meno mobilità sociale di vari paesi europei. Diventa sempre più difficile elevarsi rispetto al livello socioeconomico cui si nasce (…) La demografia dei prossimi decenni sarà probabilmente contraddistinta dalla Boomerang Generation”. Conclusione della Foroohar: i ricchi dovrebbero pagare più tasse per favorire una ‘less divisive society’.
Veniamo a noi, il mondo fuori della Confederazione stellata. Dove sono oggi i tanti che dal trionfo bellico del 1945, e più ancora dalle conquiste filosofiche della scuola di Chicago, assolutizzavano gli Stati Uniti come Land of opportunity? Dove sono i tanti, i troppi, che all’avvento di Obama nitrirono come ebbri stalloni il loro entusiasmo: un semi-africano alla Casa Bianca come la prova definitiva della grandezza, freschezza, inventività e generosità americane? Oggi è constatazione condivisa che nella politica sociale Obama agisce di concerto coi plutocrati come agirono, chi più chi meno, tutti i presidenti. E che in Afghanistan/Pakistan, pur non facendo il ‘top gun’ come Bush, ricorre a mezzi crudi cui GWB non aveva fatto ricorso.
Il vero argomento contro chi non la beve sul magistero di Wall Street e sul calore umano della Statua della Libertà, è che l’intero mondo capitalista vive la crisi. Giusto: se la bandiera a stelle e strisce non sventolasse, i mali sarebbero gli stessi. Per questo è il liberal-mercatismo il mutuo ipotecario di cui dovremmo liberarci. Il marxismo e ogni altro sinistrismo non sono stati all’altezza (mai lo saranno). Allora, in attesa che la salvezza venga da un futuro imperscrutabile, non ci resta che riaprire e rendere percorribili alcuni dei sentieri su cui andarono gli uomini del passato (non erano pigmei rispetto a noi: a volte erano più alti). Sentieri tra i quali sono quelli -additati dal Vangelo come dal Corano come da altri Libri di fede- della carità e della solidarietà comunitaria.
Per esempio dovremmo recuperare il socialismo dei monasteri e quello delle confraternite, delle gilde e dei kibbuz (v. in questo Internauta “Guild Socialism contro le disfatte dell’equità” ed altri pezzi collegati). I discorsi sul rilancio delle insurrezioni, lepidi come gli appelli alla libertà d’impresa e le novene per la crescita, vanno bene come afrodisiaci da spender poco. E volete mettere il mini-costrutto delle lotte tipo Fiom a paragone del bene fatto dal volontariato?
Anthony Cobeinsy