Il presidente Napolitano esorta insistentemente a promuovere la crescita definendola un’esigenza nazionale “stringente e drammatica” nell’attuale situazione. Difficile obiettare, dal momento che la grande maggioranza degli economisti e, al seguito, anche dei politici premono nello stesso senso. Non manca tuttavia, anche tra gli addetti ai lavori, chi nega che la crescita sia necessaria, possibile ed auspicabile per uscire dalla crisi. E’ il caso dell’attuale presidente tedesco della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Thomas Mirow, un socialdemocratico già collaboratore di Willy Brandt e Gerhard Schroeder e sottosegretario alle Finanze a Berlino. L’autorevole personaggio ha esposto il suo pensiero in una recente intervista al settimanale “Die Zeit” di cui riportiamo qui un’ampia parte (me. sq.).
Non vi sono molti Stati di rilevante peso economico che abbiano spazio per una politica fiscale espansiva. Di sicuro non la Germania, che ha un indebitamento superiore all’80%. Ci siamo posti un tetto al debito che considero estremamente importante. E’ vero che noi ed altri paesi stabili lo paghiamo con interessi modesti, ma nessuno sa quanto stabile sia il livello dei relativi tassi. E anche se resta basso, cresce la spesa per gli interessi che grava sul bilancio.
Non dobbiamo concentrarci troppo sulle misure a breve termine bensì affrontare i problemi strutturali, quali ad esempio le infrastrutture spesso inadeguate o la scarsità di investimenti per l’istruzione.
Quanto alle manovre per tagliare le spese, non credo che vadano abbastanza lontano. La maggioranza degli Stati dovranno prima o poi rendersi conto che abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi. Oggi assistiamo ad un fondamentale spostamento del benessere nel mondo. Non credo che nel medio periodo il tasso di crescita pro capite nei paesi industrializzati possa superare l’1,5%. Già per raggiungere questo livello dovremmo compiere ulteriori sforzi, ad esempio completando l’integrazione del mercato interno europeo.
Sarà inoltre necessario convincere la gente che si può vivere bene anche con tassi di crescita più modesti e più realistici. Dovremmo impostare su questa scorta i nostri sistemi di sicurezza sociale e i nostri bilanci pubblici anziché sperare in una crescita che probabilmente non arriverà mai. Una crescita artificiale, in quanto finanziata con debiti, non servirà a salvarci.
Il mio non è scetticismo ma realismo. Non vedo da dove potrebbe provenire un forte aumento della domanda di consumi in una società che ha già tanto. Dato l’alto indebitamento anche gli investimenti pubblici potrebbero contribuire alla crescita solo in misura limitata. Infine, non possiamo permetterci di crescere a spese dell’ambiente. Tutto ciò impone dei freni.
Il problema che dovremmo affrontare è chi pagherà i conti. Gli oneri devono essere ripartiti equamente. In molti paesi i sacrifici vengono imposti proprio a coloro che del boom non hanno beneficiato molto. Dobbiamo perciò pensare a come risparmiare determinate categorie ed esigere di più da altre.
L’economia finanziaria costituisce una fonte importante di creazione di ricchezza, perché allora non dovremmo tassarla adeguatamente? In linea generale, in molti paesi si è cercato di combinare elevate richieste di prestazioni statali con la riduzione di tasse e spese, due cose che non possono stare insieme.
In molti Stati le tasse devono aumentare. Non credo, ad esempio, che i problemi degli Stati Uniti di possano risolvere agendo solo sul lato spese. Quanto alla Germania, non riesco a vedervi lo spazio per apprezzabili riduzioni di tasse. Anche quest’anno i bilanci pubblici rimarranno sensibilmente in deficit, benché l’economia sia cresciuta in modo straordinariamente forte per il secondo anno consecutivo. In una situazione così favorevole si dovrebbe puntare piuttosto ad un saldo attivo del bilancio.
Di fronte alle richieste da parte dei mercati di nuove misure di salvataggio o di emissione di titoli comunitari non dobbiamo lasciarci mettere con le spalle al muro. Credo si possa confidare che Stati come la Spagna e l’Italia sappiano risolvere i loro problemi. Ritengo che un forte aumento del Fondo di salvataggio richiesto da alcune parti sia difficilmente sostenibile sul piano politico. Anche gli Eurobond possono essere di aiuto soltanto a lungo termine, perché un indebitamento comune presuppone un previo rafforzamento dell’integrazione della politica economica e finanziaria.
Può darsi che il nostro governo federale sia troppo esitante a questo riguardo. Però se alla fine il popolo tedesco non seguisse questo o un altro governo sulla via verso una maggiore solidarietà europea ne deriverebbero conseguenze fatali per la Germania e per l’intera Europa. Abbiamo perciò bisogno di un lavoro di persuasione, che è sempre penoso.
F.S.