E’ IL MOMENTO DI UN NUOVO COLONIALISMO?

Tra gli atroci privilegi che la tecnologia moderna ci consente, c’è anche quello di poter osservare un bambino siriano di 9 anni che muore tra le braccia dei medici. La sua unica colpa, come quella di migliaia di innocenti che ogni giorno perdono la vita, è stata trovarsi al momento sbagliato nel posto sbagliato. Sulla linea di tiro di un proiettile sparato dalle forze armate del governo Assad. Nella disperazione, il padre grida il suo dolore e lancia i suoi anatemi. Contro chi? Sicuramente contro il dittatore alawita che governa il suo Paese, ma subito dopo anche all’indirizzo di Russia e Cina, colpevoli di aver impedito all’Occidente di prendere misure incisive (anche se a onor del vero difficilmente risolutive) contro il regime di Assad. Sta nascendo un nuovo sentimento nel secondo mondo che non vede l’Europa e l’America come tiranni, ma come possibili salvatori e alleati?

Le primavere arabe emettono sinistri scricchiolii ormai da qualche tempo. In Egitto le persecuzioni religiose sono più spietata che mai, in Tunisia dei fanatici hanno attaccato la sede di una Tv solo perché aveva avuto l’ardire di trasmettere il film anti-regime iraniano “Persepolis”. Probabilmente ci eravamo abituati troppo bene, durante la fase iniziale delle rivolte, a non veder bruciare bandiere israeliane o americane dai manifestanti, a veder sfilare le donne accanto agli uomini.

L’Occidente si trova di fronte a un dilemma, da cui probabilmente dipenderà la Storia del prossimo secolo. Intervenire, come già è stato fatto in Libia, come si dovrebbe fare in Siria, e come forse si dovrà fare in Iran, o non intervenire? Ma, domanda ancor più difficile, interferire in modo risolutivo durante il periodo di transizione, come chiedono i copti (e non solo) d’Egitto e le minoranze laiche tunisine, o non interferire?

Siamo lontani dai tempi del “fardello dell’uomo bianco”, e non si deve in alcun modo tornare a una situazione ottocentesca di colonialismo. Che però l’Occidente decida di giocare la partita, non sarebbe certo uno scandalo. Non solo per interessi economici (e pure sarebbe cieca imbecillità negarne la rilevanza) ma anche per una questione di valori.

Ma quali valori? La democrazia non può essere un valore assoluto, ma un mezzo. Se, in certi contesti, non è un mezzo adeguato per conseguire i valori assoluti (rispetto dei diritti umani, parità della donna, tutela delle minoranze, laicità dello Stato etc), non la si può difendere a dispetto dell’evidenza. Europa e Stati Uniti dovrebbero saperlo, e dovrebbero anche agire di conseguenza.

Forse è il tempo di un “nuovo colonialismo” (a cui forse andrebbe trovato un nome meno evocativo di sfruttamento e persecuzione). Quando un popolo (di solito, una consistente minoranza dello stesso) insorge invocando i valori assoluti di cui sopra e riesce a mettere in crisi il sistema preesistente, allora, com’è accaduto in Libia, l’Occidente dovrebbe intervenire. Quando i valori invocati dalla consistente minoranza che ha avuto il coraggio di causare il cambiamento (e ne ha pagato il prezzo di sangue), rischiano di essere compromessi dall’inerzia che la maggioranza imprime al moto politico (ritorno del conservatorismo, della tradizione, della religione etc), l’Occidente dovrebbe intervenire.

Ci sono dei problemi, dei limiti, delle precauzione. Ci sono mille “se” e un milione di “ma”. Ci sono controindicazioni, realpolitik, compromessi da tenere in considerazione. Ma un Occidente che intervenga a difendere certi valori, quando sono gli stessi popolo oppressi ad invocarli, potrebbe continuare ad essere protagonista nel mondo di domani. Specie se Russia e Cina continueranno a negare quegli stessi valori e quindi a non sentire alcun bisogno di operare attivamente per tutelarli.

J.R.K.