CONTROCANTO A INTERNAUTA: PARLA UN MODERATO

Consapevole d’essere spesso tentato dal messianismo, peraltro come parecchi altri humans, sono andato a fare domande a un uomo di cui conosco la costante medietà: la condizione di ciò che si pone tra gli estremi, l’eccesso e il difetto. Goffredo Giovannetti, uno che diffida dei voli fantastici, è stato per molti anni direttore di “Europa Domani”, mensile di economia e finanza, un po’ anche di cultura non intellettualistica. Lombardo di padre toscano e madre veneta, conosce a fondo il meccanismo che forza i media a caricare le notizie di elementi a sensazione.

Gli chiedo quanto è reale la crisi del capitalismo occidentale. Come mi aspettavo, risponde: “Apocalisse, nessuna. C’è stata una crisi finanziaria importante, difficile, provocata dal mondo anglosassone. Dopo avere investito le banche americane prima, poi quelle britanniche, la crisi ha aggredito i debiti pubblici. Non c’è stato un crac complessivo, però hanno operato fattori che determinano psicosi. Ha agito negativamente l’oligopolio, anche questo anglosassone, delle Agenzie di rating. Detengono un potere assurdo, laddove hanno commesso errori clamorosi, tipo Lehman Brothers. Non avevano capito la bolla finanziaria. Alle Agenzie di rating fa gioco dilatare le difficoltà. Io spero che le Borse continuino a non curarsi dei Soloni del rating, come fanno da qualche giorno” (è l’11 ottobre, poco prima del nuovo monito di Jean-Claude Trichet: ‘Le cose sono peggiorate nelle ultime tre settimane’).

Per Giovannetti il panorama non è drammatico. Non è drammatica in particolare la situazione dell’Italia: “Abbiamo un deficit attorno al 3,5 per cento. Ma in Gran Bretagna è l’8%. Per me è truffaldino il meccanismo angloamericano del ‘leverage’: su una singola operazione creditizia esso carica sette, otto, dieci prodotti derivati. Comunque, a smentire gli eccessi di pessimismo c’è il fatto che le banche americane hanno già rimborsato i grossi prestiti ricevuti dal governo di Washington. Non farlo costava troppo per interessi. Le banche hanno preso varie misure, hanno fatto tagli e messo su ‘bad banks’, e le cose sono tornate alla normalità”.

Il mio interlocutore precisa di non essere un ottimista per principio o per indole: “Sto ai fatti, per semplice buon senso”. In mancanza di fatti sufficienti e concreti non si pronuncia sugli allarmi che si levano su problemi americani quali il crescere dei poveri e la perdita di competitività di grandi settori manufatturieri. Ammette che le economie avanzate non possono continuare a crescere indefinitamente. “Però non è detto nemmeno che la delocalizzazione dall’Occidente verso paesi meno avanzati debba continuare col ritmo di prima. Il nostro Nord-Est si era messo a trasferire produzioni in Romania e altrove. Erano stati istituiti due voli al giorno, Venezia-Timisoara e ritorno. Ora ci sono vari rientri, per questa o quella ragione”.

Il discorso si sposta sulle nostre crisi, per esempio le navi e gli autobus che non si vendono. Giovannetti è guardingo: “Non dimentichiamo la grande tradizione della nostra cantieristica. Non è spacciata. Per le grandi navi da crociera è stata leader mondiale. Oggi il momento non è favorevole; si vedrà. Prendiamo un altro caso particolare, le concerie. Qualche decennio fa, dalle nostre parti sembravano condannate, anche perchè molto inquinanti. Oggi il settore è abbastanza florido. Le cose cambiano. La società cambia”.

Tutto  bene allora? Non tutto bene. “Manchiamo completamente di grandi industrie di base. La finanza ha quasi distrutto la nostra chimica, responsabilità anche della Fiat. Tuttavia, come dicevo, non possiamo pensare a una crescita che non si ferma più. E dovremo creare cose completamente nuove, tentando di imitare Steve Jobs”.

Quanto alle cose da fare per le fabbriche senza mercato, Giovannetti non ha dubbi: quando i dati sono sicuri vanno chiuse, garantendo ai lavoratori meno giovani lo scivolo verso la pensione. Assicurare 1200 euro al posto di una paga di 1500 non è detto debba costare alla collettività più che sussidiare le fabbriche perché producano perdite. Il guaio è che milioni di persone, specialmente ma non solo nel Sud, si sono abituate a vivere nel largo dei sussidi pubblici. E’ una fortuna che l’euro ci vieti di largheggiare ulteriormente. Però il buon senso ci vieta anche di vedere tutto nero”.

Su  questi consigli di prudenza noi messianici rifletteremo: ce lo impone la logica, anche se sono tante le voci che proibiscono l’ottimismo della speranza. In ogni caso non rinunciamo a sperare di liberarci un giorno da un ipercapitalismo consumista le cui magagne crescono. Se volete, il nostro è messianismo, attesa di cose radicalmente nuove, visto che le vecchie si decompongono.

A.M.C.