UN PAESE CHE RESISTE

“Milano, una città da amare”. Quando lessi questa frase del cardinale Dionigi Tettamanzi, ne fui colpito ed indotto a riflettere su me stesso e sul mio rapporto con la città. Si può amare una città? Cosa vuol dire: amare una città? Quali insegnamenti sono contenuti nella frase del cardinale? Ed io, la amo sufficientemente o vivo qui solo perché il destino mi ha portato a vivere qui?

Io ho molto amato Milano. L’ho amata sin da ragazzino, prima di conoscerla. Per me era, sin da allora, una categoria dello spirito. Non conoscevo il detto che, anni dopo, mi affascinerà: “Milan dis, Milan fa”; ma già allora questa era esattamente la mia lettura della città. La prima volta venni a Milano con mio padre (abitavamo a Brescia) da ragazzino, per il concerto di riapertura della Scala dopo la ricostruzione, diretto da Toscanini. Fu un’emozione indimenticabile. La seconda volta fu una gita scolastica ginnasiale per una visita alla Fiera Campionaria. Fu la scoperta della grande vitalità produttiva della nuova Italia, con epicentro allora a Milano, alla quale, per fortuna, noi, giovani, ci sentivamo partecipi. La terza volta fu per accompagnare mia sorella maggiore ad iscriversi all’università, e fu allora che scoprii la Basilica di Sant’Ambrogio, con le sue linee semplici e purissime e quella sua atmosfera di ovattata penombra (in parte oggi, purtroppo, perduta) che invitava alla preghiera. Fu grande amore a prima vista e da allora per me “la Chiesa” è Sant’Ambrogio. Fin dal ginnasio avevo deciso che sarei venuto a vivere e lavorare a Milano, proprio perché era “una città da amare” ed io la amavo. Così, a 28 anni, misi casa a Milano, mi sposai e qui nacquero i miei figli.

Ho indugiato in questi ricordi personali perché ho voluto spiegare come il mio legame con Milano sia profondo e genuino. Ma negli ultimi decenni, gradualmente, è andato crescendo in me un disamore per Milano, città alla quale mi sentivo sempre più estraneo. Anche i miei figli, per molti anni orgogliosi di essere milanesi, se ne sono psicologicamente allontanati, ed il maggiore ha addirittura cambiato città.

Ho odiato la Milano da bere dei socialisti; sono rimasto profondamente turbato da Tangentopoli; ho avuto ed ho paura del totalitarismo, settarismo, affarismo di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere; ho avuto ribrezzo per lo squadrismo leghista; mi sono sentito soffocato da quella farsa pornografica della Signoria che è il berlusconismo; mi sono sentito umiliato come cittadino dalla volgarità di certe prime alla Scala; ho sofferto per una città la cui politica cittadina veniva, quasi esclusivamente, fatta da e per immobiliaristi e commercianti.

Marco Vitale

da http://www.allarmemilano-speranzamilano.it/


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