Per capirci meglio
Massimo Gramellini è un genio assoluto della satira giornalistica. Riesce ad essere godibile anche quando denuncia le peggiori nefandezze del nostro tempo. Aldo Grasso è un autorevole esperto, alle volte un po’ cattivello, ad altre fin troppo compiacente (si tratta pur sempre di gusti personali, però), ma sulle questioni più serie anche non di TV raramente sbaglia un colpo. Tutti i due hanno sparato a zero sul giro ciclistico di Padania; e come si potrebbe eccepire? L’inedita gara patrocinata dal Trota, contestata ad ogni tappa e vinta alla fine da Ivan Basso, ormai incapace di vincere i grandi giri storici, è l’ennesima brillante trovata della Lega, impegnata adesso a recuperare il terreno inopinatamente perduto nelle ultime elezioni locali. Pare in realtà che ne stia perdendo ancora, malgrado l’apertura a Monza, Villa Reale, di un paio di sezioni ministeriali strappate a Roma ladrona.
Attenzione, però. Gramellini e Grasso, come tanti altri, si uniscono per l’occasione al coro di quanti, da tempo, gridano che la Padania (o Padanìa, secondo qualcuno, che forse dice anche la PDL) non esiste. D’accordo, naturalmente; ma sbagliano lo stesso. Quello che non esiste oggi, infatti, potrebbe esistere domani o posdomani. Il quadro geopolitico dell’Europa e del mondo non è immutabile, anzi cambia in continuazione. Stati e nazioni nuovi nascono quasi ogni mese. Non è di per sè un bene ma neppure un male. Dopotutto, poco prima di unificarsi anche l’Italia veniva sbeffeggiata dal principe di Metternich come una pura espressione geografica, ed erano in molti, non solo all’estero, a condividere.
Ora, difficilmente sarà il giro della Padania a risollevare le sorti del partito di Bossi e a rimetterlo in corsa per diventare la principale forza politica del Norditalia. Solo qualora raggiungesse questo obiettivo la questione potrebbe diventare seria, e noi ci auguriamo, con Gramellini, Grasso, ecc., che non ce la faccia. Quando non c’è oppressione o prevaricazione interna od esterna, restare uniti è meglio che dividersi, tanto più in un’Europa che da decenni si sforza di integrarsi,e non senza successi. Il cosiddetto federalismo, ovvero le autonomie più ampie possibili, può servire a risolvere certi problemi di convivenza nazionale purchè impostato razionalmente, di comune accordo e senza secondi fini.
La priorità spetta però, oggi, al problema di scongiurare la bancarotta o un declino inarrestabile dell’intero paese col responsabile contributo di tutti. Se non ci si riuscisse, diventerebbe più facile frantumarlo, per un verso. Per un altro, non è detto che la frantumazione sarebbe indolore come, ad esempio, quella della Cecoslovacchia dopo il crollo del regime comunista. Potrebbe invece assomigliare di più a quella della Jugoslavia orfana di Tito, tenuto conto anche del fatto che una grossa fetta dei, pardon, padani è costituita da italiani del sud o oriundi meridionali e da famiglie miste. Anche scongiurare una simile evenienza rientra comunque, chiaramente, nelle responsabilità di chi della Padania non vuole sentir parlare come di chi la sogna.
Nemesio Morlacchi