Le tre persone che qui conversano, Candido, Cinico, Celestina, pensano, come quasi tutti i viventi, che un conflitto armato fra popoli e nazioni sia un avvenimento eccezionale. E pensano questo malgrado nei libri di storia che hanno letti i periodi di pace vengano inquadrati come poco più che intervalli fra una guerra e l’altra. C’è una storia nera e una storia bianca. E la prima, che occupa tanti anni meno, è tanto più narrata e tanto più estesa della seconda. Anche la storia bianca è zeppa di avvenimenti significativi e determinanti, e sarebbe anche possibile ricondurre ad essi le truci vicende della storia nera. Dovendo stabilire delle dipendenze si potrebbe concludere che la nera dipende dalla bianca assai più che questa da quella. Si fanno le guerre in conseguenza della pace che c’era assai più che non si faccia la pace in base alla guerra che l’ha preceduta.
“Candido”. Delle guerre si parla tanto, nella storia come nei romanzi, perché una guerra la si deve giustificare; e la giustificazione si fa in parole, che si sentono, si vedono, e non possono restare nel privato. Le guerre non si giustificano da sole. Chi va in giro con elmo e corazza ha da dire perché, diversamente dal civile che, straccione o elegante, non è tenuto a dir niente a nessuno. E se anche è un guerriero dei tempi moderni, con le sue tute a macchia e quei bizzarri segnetti, o patacche, dovunque, ha un bel dire che servono a mimetizzarlo; lo si nota molto di più.
“Celestina”. Quei tipi alteri, quel vestire insolito, alle donne fanno impressione. C’è anche, o forse c’era, più di oggi, un’eleganza militare. Quelli alti in grado dovevano far impressione, con bandoliere, coccarde, pennacchi. Dai marescialli di Napoleone a oggi, è stato tutto un semplificare.
“Cinico”. Ma non sarà stato per far impressione alle donne che ci si vestiva in quel modo. Bisognava farsi riconoscere dai sottoposti, dai soldati, i quali in battaglia potevano sbandarsi se non vedevano il superiore. C’era sempre un problema di visibilità. Il diplomatico può anche nascondersi, ma il guerriero deve farsi vedere. Lo si vede oggi anche in certe divise di certi corpi speciali. La divisa ha sempre fatto eleganza.
“Celestina”. Se però non la usi. Se sei stato in battaglia e torni a casa tutto sporco e magari anche di sangue, magari anche non del tuo sangue, non mi direte che fa un bel vedere. Ma così conciati non si fanno vedere mai. Li vedono soltanto le crocerossine.
“Candido”. Il sangue, il sangue, è proprio questo che eccita! È il “segno rosso del coraggio”, così si è detto. Ma noi sappiamo anche che è il segno rosso della morte, del dolore, della sfortuna.
“Cinico”. Sangue, sangue, sangue! E violenze, e distruzioni, e crudeltà! Tutto questo eccita, e fa sentire al centro di quello che è successo. “Una notte di Parigi rimedierà a tutto questo”, sembra abbia detto Napoleone per un momento esitante. E anche il cinico Mussolini ebbe a dire che aveva bisogno di cinquantamila morti per contare qualcosa al tavolo della pace. Dunque i morti si rimediano, o rendono, per certi tipi!
“Celestina”. Che le guerre siano violenza e crudeltà, che distruggano e impoveriscano anche i vincitori lo sanno tutti. Ma io, donna, mi chiedo “perché non se lo dicono”, i signori maschi che fanno le guerre.
“Candido”. Non se lo dicono perché molte volte non sanno immaginarsi qualcosa di diverso. E d’altra parte, quando compare uno come Hitler, che cosa vuoi fare?
“Celestina”. Se un popolo si sente superiore non troverà qualcuno che gli spiega che questa superiorità se davvero esiste, finisce per affermarsi? Furono i Greci vinti che conquistarono i Romani! Le guerre sono una scorciatoia, uno di quei sentieri che ti fanno scivolare nel fosso. La pace, la pace, è la strada maestra. Ascoltate noi donne, che non siamo gente di guerra.
“Cinico”. In questo mi piace dire che noi italiani siamo stati maestri. Passato il medio evo, passato il quattrocento, abbiamo esportato la nostra civiltà senza farla precedere da armati. Gli italiani sanno far tante cose, ma non la guerra! Così la pensava anche Churchill!
“Celestina”. Hai ragione. Anche i nostri condottieri erano più bravi a trattare che a vincere. Andrea Doria, grande ammiraglio genovese, faceva capire che avrebbe potuto vincere, ma poi trattava. Non aveva, come Napoleone, la passione della vittoria. E quando hai ben ben vinto, che fai? Ti trovi con il vinto da mantenere!
“Candido”. A molti piace fare la faccia feroce. E dopo non son più capaci di tornare quello che erano prima.
“Cinico”. E invece proprio di aver fatto la faccia feroce dovrebbero vergognarsi. Ma c’è questo culto della cattiveria, che io non comprendo. I cattivi diventano eroi. Del troiano Ettore, eroe degli eroi, non si dice che prima di sacrificarsi al suo destino ne aveva accoppati tanti, soldati e forse anche non. Se poi è stato ucciso lui pure, sarebbe da dire che ha avuto in fondo quel che si meritava. La stessa cosa io direi per Achille.
“Celestina”. Tutti maschiacci, non son questi che piacciono a noi.
“Cinico”. Gente che la guerra, prima di farla, se la inventa. Io non sono uno che ama la violenza perché la violenza sarebbe sincera. Non esiste una violenza sincera. C’è sempre la menzogna che viaggia con lei. Ho scoperto che già i re assiri giustificavano la guerra. La presentavano come un comando di Dio. Al quale poi rendevano conto con delle lettere, che erano cosa molto simile ai bollettini ufficiali delle guerre moderne, redatti per informare il popolo. Al quale veramente quel che era davvero accaduto non si poteva dire, o andava travisato; le famose “ritirate strategiche” dei bollettini tedeschi. Bisognava figurar bene con il dio che ti aveva mandato ad uccidere, non diversamente che ai popoli, sedicenti che ti hanno mandato.
“Celestina”. Già “menteur comme un bullettin” si diceva in Francia. E anche reticente; la reticenza è menzogna?
“Cinico”. Io direi di sì, se taci qualcosa che avresti il dovere di dire. Chi ha deciso una guerra non lo può certo dire. Deve presentarsi come uno che fa qualcosa che non potrebbe non fare. Ma poiché son decisioni che non si possono tenere nascoste, perché una guerra segreta non è possibile, una ragione ci vuole. I re, forse, non ne avevano bisogno, come quel Federico II di Prussia: “quando muovo i miei eserciti, il popolo non se ne deve accorgere”. Già, ma ne avrà pur subito le conseguenze! Perché la prima menzogna è quella sui costi, e quelli li pagano tutti.
“Celestina”. Si racconta della prima guerra mondiale italiana la presa di Gorizia, sottratta agli austriaci dopo lunghi e sanguinosi combattimenti. Ma non si racconta di quell’ufficiale italiano che vide un’anziana donna piangente e si prese l’iniziativa di redarguirla:
– Ma come, lei non partecipa al generale contento?
– Vede quel mucchio di mattoni e di pietre? Era la mia casa.
– Ma signora, ne faremo una di più nuova e più bella.
– E’ che sotto a quei mattoni, a quelle pietre, c’è sepolto mio figlio; e io dovrei gioire che siete arrivati voi?
Non si sa che cosa abbia risposto l’ufficiale, ma c’è da augurarsi abbia avuto la dignità di non farsi più vedere.
“Candido”. Il punto è che di una guerra non si dice mai tutto.
“Cinico”. Reticenza e menzogna. Reticenza su quello che accade, menzogna sui propositi che l’hanno fatto accadere. E tanta censura, per noi e sugli altri. La censura segue la menzogna, naturalmente, perché poi bisogna essere coerenti. Oppure è la menzogna che rende necessaria la censura.
“Candido”. L’una cosa e anche l’altra. E’ a cominciare dalle intenzioni che bisogna mentire. C’è sempre qualcuno che tira il primo colpo. Ma non vorrà mai dire che è stato lui. Fu l’artiglieria austriaca, tirando su Belgrado, che diede inizio alla prima guerra mondiale. Ma a quell’iniziativa ci si disse costretti, per difendere la dignità dell’impero dalle provocazioni di un piccolo popolo. Provocazioni che non furono mai dimostrate, come si dovette riconoscere che di armi non riconosciute non ne furono trovate in Iraq.
“Cinico”. Si inventa qualcosa che ha preceduto la tua decisione.
“Candido”. Bisogna rispondere alla domanda “perché”? Le risposte son di due tipi: Uno: “è successo qualcosa che mi ha ‘costretto’ a sparare”. Due: “se l’ho fatto avevo le mie buone ragioni”. Cause e ragioni si alternano, ma sono diverse, molto diverse l’una dall’altra.
“Cinico e Celestina”. ??? spiegati meglio.
“Candido”. Quando invoca una causa , uno si presenta come passivo. Se proprio non è come il lampo, che succede al tuono perché sono la stessa cosa, è un poco come bagnarsi quando piove e non si ha l’ombrello. La pioggia è la causa e tu con i tuoi vestiti bagnati siete l’effetto. L’azione compiuta diventa un fatto naturale, necessario.
“Cinico e Celestina”. Continua.
“Candido”. Quando presentarsi come determinati non è possibile, allora si invoca una ragione: “perdevo la faccia, non sarei più stato io se non avessi deciso di sparare”.
“Cinico e Celestina”. Che cosa significa “non sono più io”?
“Candido”. Significa che io mi sono fatto corrispondere a talune regole, o valori, non rispettando i quali non esisto nemmeno più; non sono più riconoscibile, non sono più io; io stesso non mi riconosco più. E ognuno ha bisogno di riconoscersi.
“Cinico”. Ma qui bisogna stare attenti, perché uno queste cose se le può anche inventare.
“Candido”. Ma poi se ne dimentica, e ci rimane attaccato come fossero sempre esistite prima di lui.
“Celestina”. Ma ci sarà ben qualcosa.
“Cinico”. Il guaio è che non lo sappiamo. Il sacro si traveste, è sempre un’altra cosa che ti viene incontro. E’ sempre un’altra cosa che si presenta al tuo animo.
“Celestina”. Proprio sempre sempre? Io non dispero.
“Cinico”. C’è anche una violenza individuale, fra persone singole, e questa riesce a nascondersi. Ma quando diventa pubblica, collettiva, la violenza non si può nascondere. Allora si deve giustificare. O anche, e questa è la situazione più difficile, travestire. Per esempio si traveste da eroismo, che è già qualcosa di cui ci si può vantare. Ma io vorrei sapere che eroismo c’è a montare su di un aereo carico di bombe e lasciarle cadere su di un villaggio pieno di supposti guerriglieri; semmai son quelli gli eroi. Dopo che è venuta fuori l’artiglieria era questa che faceva più danni; ma gli artiglieri eran quelli che rischiavano di meno, perché restavano indietro. Un altro bel travestimento è il sacrificio, altra parola positiva. Poi c’è il rischio. Chi rischia e si sacrifica diventa un eroe, a spese di altri, quasi sempre. Avevano ragione i fantaccini della prima guerra mondiale, che non amavano quelli che gli arrivava la medaglia; loro morivano e il capitano si prendeva la medaglia. Aggiungiamoci anche il dovere, la solidarietà e altre cose. Tutti travestimenti.
“Celestina”. Queste belle cose, e altre ancora, son fatte per quelli che non combattono, per le donne ad esempio. E se quelli che combattono avessero il coraggio di disertare farebbero un servizio a tutti. Potrà sembrare una provocazione, ma io darei un premio ai disertori. O comunque li lascerei in pace, come accade a quelli che si chiamano “obiettori”.
“Candido”. Questa sì che è un’idea brillante. Ma come la si concilia con tutto il discorso “la Patria chiama”, “il dovere impone” e cose simili?
“Cinico”. E’ appunto sul clima guerrafondaio, così penso si possa dire, che vorrei soffermarmi. A tutti quelli che in guerra non andavano, ma si chiedeva che fossero d’accordo, si rendeva più omaggio qualche guerra fa, che non nelle recentissime. Sono spariti i bollettini di guerra. Perché non ci vien detto niente di ufficiale su ciò che accade in Afghanistan, in Libia e in tanti altri luoghi?
“Celestina”. Ah! Questa sarebbe bella!
“Candido”. Le guerre di oggi son camuffate da operazioni di polizia. E la polizia non dà bollettini, semmai riferisce alla magistratura, secondo certe regole; perlopiù a cose fatte. Ma il poliziotto che insegue un malfattore non può accopparlo lui direttamente; è soltanto autorizzato ad acciuffarlo. Ma queste di oggi son guerre senza prigionieri! Si ammazza e basta.
“Cinico”. Fra le spiegazioni-giustificazioni delle quali abbiamo detto mi viene alla mente un caso particolare, che conseguenze gravissime. E’ quando si invoca una causa che non è accaduta ma si dà per certo, per scontato, che accadrà. E’ una causa possibile, data per necessaria e inevitabile. Questo atteggiamento è all’origine delle “corse al riarmo”, come vengono chiamate. Il mio vicino costruisce navi corazzate, si arricchisce di mitragliatrici e cannoni. Finirà con l’usarle, e contro di me. Allora devo essere pronto, con più corazzate, più canoni ecc. Così si è arrivati a primo conflitto mondiale, fra Germania e Inghilterra. Invece con la “guerra fredda” fra URSS e Stati Uniti uno dei due ha mollato. E così siamo tornati alla guerre locali.
“Candido”. Ma questa mania del riarmo alcune guerre, guerre locali, le ha fatte succedere. Dove si provano queste armi? Non possiamo con il grosso? Proviamo sul piccolo, vedi Vietnam, Corea, Etiopia e tante altre. Così si fanno anche soldi, perché naturalmente ai minori, ai poveri, le armi si vendono.
“Cinico”. E’ così che nascono le cosiddette “guerre legali”. Son quelle guerre che si dice di fare a vantaggio di coloro che le subiscono. Ad esempio la repressione del brigantaggio dopo l’unità d’Italia, che fu più sanguinosa delle guerre che l’avevano preceduta; ma era sangue “impuro”, sangue di fuorilegge.
“Celestina”. Le armi, gli aerei da combattimento e simili invecchiano, più rapidamente di ogni altro prodotto industriale. Però non si possono buttare, sono costati molto. E allora contro chi usarli, se non chi ne ha altri ancora più vecchi? I fucili dei briganti sparavano male, al confronto con quelli dell’esercito regolare.
“Candido”. E’ certa una cosa, che se questa storia della corsa alle armi venisse a cessare si risparmierebbero tanti soldi, da usare per l’umanità. Ci deve essere qualcosa di sbagliato in queste guerre di polizia. A proposito, il famigerato Pol Pot l’ha acchiappato qualcuno?
“Cinico”. Più che acchiapparli, isolarli si dovrebbe, fargli il vuoto attorno. Far capire alla gente che nessuna causa, anche buona, può servirsi di mezzi cattivi. Un’umanità civile è quella che sostiene le proprie cause con mezzi che consentono il rifiuto, che sono la parola, il denaro, il confronto, la persuasione. La violenza è una scorciatoia che squalifica e fa danni subito, rimandando i risultati; quando hanno capito questo anche le Chiese sono diventate non violente; non è bruciando gli eretici che si combattono le eresie.
“Candido”. La corsa agli armamenti è micidiale perché fa sentire costretti quando invece si ha scelto. L’altro ha un cannone più di te? Lascia che sua lui a tenerselo pulito. A che cosa ha servito la famosa Grosse Berte (il cannone tedesco che arrivava fino a Parigi nella prima guerra mondiale)?
Che cosa c’era nel suo passato? E’ spesso così, nelle cose germaniche; non si sa mai che passato abbiano. Non basta l’artiglieria a vincere le guerre; ci vuole la volontà degli artiglieri. A Caporetto i cannoni italiani c’erano, ma non hanno sparato; e la spiegazione c’è, ma si dovrebbe avere il coraggio di andare a cercarla nel posto giusto, nell’animo dei comandanti e degli artiglieri.
“Celestina”. Avere più armi può essere utile a far ammazzare più gente. Ma quando la mattanza è finita, restano le baionette; e su queste non ti puoi sedere. E alla fine il vincitore è quello che ti ha messo un cuscino sotto il sedere.
“Cinico”. E’ così che nascono le cosiddette “guerre contro l’altro, ma ad uso interno”. Servono a militarizzare la nazione, e la nuova disciplina militare si rimangia tutti i diritti civili faticosamente conquistati e dolorosamente concessi. L’operaio in divisa non sciopera più. Il soldato deve soltanto “krepieren”, come fa dire il soldato Sc’veik al maresciallo austriaco Conrad. Ecco un bel tema per la prossima volta.
Paolo Facchi
veramente notevole cogliere, nella giusta sincronia tra loro, le sfaccettature dell’animus e il gioco della menzogna che conducono lungo i sentieri della guerra. Tutto si può montare e smontare con la ragione -e i personaggi lo fanno alla perfezione- manca, se posso dire, una adesione ancora più forte ( e Celestina ne è la buona testimone) sulla comune, ancorché sfiancata umanità che tutti ci unisce.
Veramente da leggere in pubblico…