RAMIRO DE MAEZTU, PROFETA DEL NOSTRO DOMANI

Quasi ai piedi di Cristo il turbocapitalismo delle Borse e quello dei capannoni. Morte tutte le formule di socialismo e di comunismo. Mai come oggi è stato il tempo di riscoprire le idee grosse che nel passato non ebbero fortuna, e  invece sono il futuro. Prima tra tutte il Guild Socialism, o neocorporativismo antiautoritario, di Maeztu.

Maeztu è senza dubbio l’intelligenza più costruttiva tra quante la Spagna produsse nella prima metà del Novecento”.  Manuel Fraga Iribarne –  il  principale tra i liberalizzatori del regime,  preconizzato successore di Franco, ma anche importante cattedratico- traccia il profilo di uno spagnolo ‘fiorito’ a Londra come Karl Popper. Affermatosi all’inizio come liberale crociano, Maeztu divenne in Gran Bretagna la guida del movimento del Guild Socialism’, avviato da una rivista finanziata da G.B.Shaw. Nel momento di massima forza dell’impero britannico Maeztu ammonì che esso ‘moriva’ per eccesso di conservatorismo e per ‘orrore del pensare’.

Soprattutto de Maeztu intuì che il capitalismo plutocratico puro e il socialismo collettivistico non avevano futuro. Propose una via mediana basata sul coinvolgimento e sulla responsabilità dei lavoratori ( Germania docet- N.d.R.) in un quadro vigorosamente etico, senza illusioni consumistiche. Se in Gran Bretagna la vittoria politica fu del Labour, il tempo, conclude Fraga Iribarne, ha dato ragione a Maeztu. Logicamente questo intellettuale tra i più animosi di tutti fu tra i primi a cadere davanti ai plotoni d’esecuzione della Guerra Civile.

Ramiro de Maeztu cresce in quella Bilbao che alla fine dell’Ottocento è un polo di modernizzazione. Dalla madre inglese riceve influenze britanniche e protestanti. Quando arriva a Madrid diventa subito uno degli uomini più rappresentativi di quella ‘generazione del 1898′ che è la risposta autentica della Spagna alle umiliazioni di Cuba, alla disfatta per mano statunitense. A Londra, dove rimane quindici anni, entra in contatto con H.G.Wells, G.B.Shaw e gli altri della Fabian Society, con teologi, col principe Kropotkin attorno al quale volge un secolo di pensiero letterario. Un legame speciale nasce col movimento dei grandi cattolici Chesterton, Belloc e Baring. Come vedremo, il rapporto si farà intenso col gruppo della rivista “New Age”.  Maeztu ammira la capacità britannica di mettere ordine nelle cose umane, un ordine beninteso relativo e dunque flessibile. Lo impressiona la profonda eticità della vicenda sociale, così come l’attitudine del legislatore a migliorare con formule semplici la condizione degli umili.

Ma proprio il fatto d’andare a fondo dei problemi impedisce al Nostro di diventare quel che si dice un anglofilo. Vede il paese materno poco incline a pensare e troppo rispettoso dell’Establishment. Conclude che “il governo è caduto nelle mani di un’oligarchia plutocratica, indifferente ad  ogni ideale che non sia la conservazione del potere”. E’ il momento in cui Maeztu cessa d’essere liberale e di cercare nel liberalismo la spiegazione della superiorità anglosassone. Nel 1912 scriverà: ” In questi giorni sono definitivamente morti niente meno che il liberalismo e l’empirismo, i due grandi principi dell’Inghilterra moderna”. Maeztu punta a quel ‘libero socialismo’ che è il suo aspetto più interessante; egli non rinuncerà mai all’ideale della giustizia sociale. Un suo articolo su ‘ABC’ il 9 luglio 1936 rimprovererà alla destra spagnola di restare paralizzata dallo spirito classista e da un conservatorismo ingeneroso.

Nel decennio più significativo della vita Maeztu fa una scelta fondamentale. Al di là del liberalismo ‘nichilista’ (cioè povero di soluzioni per le società moderne), al di là del socialismo burocratico e dittatoriale, Maeztu cerca con impegno un’altra cosa. La trova in un gruppo intellettuale britannico del quale diventerà capo e maestro: il movimento conosciuto come ‘guild socialism’ o socialsindacalismo. Si esprime nella rivista “New Age”, sorta nel 1907 con un capitale per metà sottoscritto da George Bernard Shaw. E’ il foglio di sinistra per eccellenza, però respinge i facili dogmatismi e si stacca dal laburismo ufficiale, che va diventando collettivista e burocratico, per elaborare la teoria del socialsindacalismo. Il circolo di “New Age” è profondamente religioso, lontano dunque dal positivismo spenceriano e dal materialismo dialettico. I termini puramente economico-sociali del problema politico confluiscono in una concezione più generale dell’uomo e della cultura.

Gli uomini di “New  Age” respingevano la filosofia individualista, nonché il Rinascimento, la Riforma e l’Illuminismo, antecessori del liberalismo. Ma da tale ripudio non traevano conseguenze reazionarie: troppo intelligenti per proporre restaurazioni impossibili. Avevano sì guardato al Medioevo, alle sue corporazioni come alla sua temperie, ma per imparare a costruire il mondo contemporaneo. Ripudiato il socialismo di Stato e naturalmente il marxismo, svilupparono la concezione di una società organica, pluralista, funzionalista, giusta. Il loro ‘guild socialism’ era contro il liberalismo e contro il progressismo, ma al tempo stesso era pluralista e antiautoritario. Un anticapitalismo, inoltre, che era critica di una società basata sul puro potere del denaro; ricerca di forme più giuste di distribuzione della ricchezza (in quegli anni Belloc e Chesterton parlano di ‘distributismo’ come alternativa al capitalismo e al marxismo) e un funzionalismo, o ‘principio funzionale’, per il quale a ciascun individuo o organizzazione si deve dare libertà e autorità in proporzione al contributo che dà al tutto sociale.

Il socialsindacalismo voleva dare ai lavoratori non solo più condivisione della ricchezza, ma più partecipazione e più responsabilità. La vittoria politica andò ai Fabiani cioè agli ispiratori del Labour, ma la vittoria intellettuale spetta ai Guild Socialists, perché il tempo ha dato ragione a loro: il socialismo di Stato non ha risolto i problemi sociali e il sindacalismo tradizionale, agendo senza responsabilità, sta distruggendo in molti paesi l’ordine economico, sociale e giuridico. I Guild Socialists, che raggiunsero il massimo di influenza negli anni 1915-18, proponevano un socialismo più umano e meno collettivista. Insistevano sulla partecipazione dei sindacati alla gestione dell’impresa. Desideravano un’autentica decentralizzazione sociale, l’allegria del lavoro, la partecipazione.

Nel movimento Ramiro de Maeztu fu l’uomo che si impegnò su una formulazione generale, su una sintesi organica. Lo riconoscono tutti gli studiosi del Guild Socialism. La sua dottrina  politico-sociale è una delle  piu complete e interessanti del secolo. Senza dubbio in quegli anni il mondo spagnolo non ne esprime una migliore. E’ innegabile la sua superiorità su quanto produssero in Inghilterra sia i liberali, sia i socialisti. Le cose hanno dimostrato che Maeztu ha ragione quando sostiene che né il liberalismo, né il marxismo  risolvono i problemi delle società moderne. Per esempio, “non c’è alcuna ragione perché il capo di una grande industria o banca debba essere particolarmente ricco. Deve ricevere denaro per le necessità dell’impresa, non per i vestiti della moglie o per i vizi dei figli”.

Piuttosto che di libertà, il Nostro preferisce parlare di partecipazione al governo. “E’ il concetto romano, non quello liberale, della libertà”. Altrove sostiene che sono importanti ‘istituzioni che obbligano a pensare’, più che il mero diritto di pensare. Detto questo, Maeztu è fautore aperto dell’organizzazione democratica. All’obiezione che è il regime dell’incompetenza risponde che “gli uomini non impareranno mai a governarsi se non avranno l’occasione di farlo, di sbagliare e di correggersi”; e poi “la competenza non è collegata ad alcuna forma specifica di governo”. Per Maeztu sono storicamente falliti sia il principio autoritario, sia quello liberale: “Russia e Spagna sono esempi di ciò che costa il primo; i paesi anglosassoni, delle carenze del secondo”.

E’ fondamentale la questione della proprietà del capitale: “E’ male che gli strumenti di produzione siano monopolio dei proprietari. La maggior parte dei lavoratori dovrebbero partecipare alla proprietà”. Ma naturalmente Maeztu respinge il socialismo di Stato. In definitiva mira ad una società libera dal potere corruttore del denaro, cioè sottoposta al controllo sociale. La vuole austera, persino spartana, perché non crede al mito della ricchezza per tutti. (“la povertà del povero sparirà solo con la ricchezza del ricco: sono la stessa cosa”). Non crede che la riforma generale possa venire senza il conflitto. Se ritiene indispensabile un sistema di socialismo neocorporativo è in quanto “non si è inventato altro mezzo per ottenere che il lavoro cessi d’essere una mercanzia a disposizione dei ricchi, e per consentire ai lavoratori una partecipazione al governo della produzione”. L’essenza del suo congegno è “l’unificazione di capitale, direzione e lavoro nella gestione dell’impresa”. Il libro che enuncia queste idee, “La crisi del Humanismo” è uno dei saggi più importanti del nostro secolo sui problemi di una vera democrazia e di un socialismo umano,

Quando torna in Spagna Maeztu mantiene totale coerenza coi suoi principi. In piena dittatura del generale Primo de Rivera si professa ‘uomo di centro’, spiegando in un famoso articolo del 1924 che sia negli uomini di destra, sia in quelli di sinistra “metà dell’anima è addormentata”. Abbastanza presto lascia il paese per fare l’ambasciatore in Argentina. Nel 1933 si dichiara ‘non fascista e ‘internazionalista’; respinge Mussolini e Hitler. Insiste fino all’ultimo nell’auspicare un movimento politico in cui destra e sinistra si risolvano.

Manuel Fraga Iribarne

Chiosa

Chi edificherà la Quarta Repubblica -la Terza, degenerazione delle Prime Due, si decompone già- dovrebbe fare suoi, uno per uno, tutti i punti del neocorporativismo di Maeztu: l’odio all’oligarchia conservatrice, il distacco finale dal liberalismo ‘nichilista’ e dal progressismo inconcludente e truffaldino, la negazione del consuetudinario omaggio al Rinascimento e all’Illuminismo laicista. In un altro angolo di INTERNAUTA (“Presente amaro”) uno di noi propone, vista la vacuità del presente, di tornare ad alcune idee-forza del passato. Ramiro de Maeztu ne addita alcune, con ben altra autorità e forza profetica.

Oggi che si considerano ipotizzabili la bancarotta degli Stati Uniti e il crollo della capacità competitiva delle economie occidentali; oggi che non si vedono rimedi al baratro tra ricchi e poveri, alle retribuzioni forsennate degli alti manager, alle ruberie dei politici e a cento altre patologie, le formule enunciate un secolo fa da Maeztu promettono la resurrezione della socialità nei termini del III millennio. Perché la promettono?

Perché tolgono l’appalto della giustizia sociale alle sinistre disoneste e buone a niente e obbligano i cittadini qualificati ‘a pensare e a governare’.

A.M.C.