Quello che stiamo vivendo oggi in Italia è un passaggio molto difficile e delicato. Assistiamo a un progressivo scadimento dei valori culturali nella vita pubblica e all’impoverimento del linguaggio politico, segno di ben più profondo impoverimento morale e spirituale; coloro che dal popolo sono stati investiti del mandato, presi dalla dura lotta della legge della competizione, hanno finito con l’estraniarsi dal senso reale e obiettivo dei problemi e delle esigenze civili del Paese; il disinibito affarismo e una sempre più sfacciata bramosia di potere hanno poi corrotto ogni possibilità di considerare per ciò che sono, nella loro intrinseca validità, le richieste, le aspettative e i bisogni della nostra comunità nazionale, a tutti i livelli.
Colmare questa assenza di morale, proporre una scelta etica credibile e non strumentale, è ora il vero problema da affrontare. Perché non si tratta solo di ricostruire un sistema che ha accumulato debiti e indebolito le risorse, ma di sostituire una mentalità diffusamente corrotta con un impegno etico profondo volto a ricostruire moralmente l’Italia. Può sembrare banale ma la corruzione non rappresenta un fatto grave solo per la scandalosa gestione del pubblico denaro, per la dilapidazione delle risorse, per la crescita indefinita dei costi delle opere pubbliche, per lo sfruttamento del risparmio dei cittadini; la corruzione rappresenta un fatto grave per il danno in sé provocato alla mentalità degli italiani, con il rischio di far loro perdere l’orgoglio dell’appartenenza a questo Paese e, ancor più, il senso profondo dell’appartenenza a una grande civiltà.
Si pone allora la necessità, anzi, l’urgenza, di restituire alla politica quell’ispirazione etica, quella larghezza di orizzonti, quell’autenticità di vocazione culturale per l’impegno civile, che fu già nella migliore e più grande tradizione del pensiero politico cattolico contemporaneo, da Romolo Murri a Luigi Sturzo, a Francesco Luigi Ferrari, ad Alcide De Gasperi. E non c’è dubbio che in questa profonda crisi che il nostro Paese sta attraversando, molti, laici e cattolici, sempre più spesso si richiamano al sacerdote di Caltagirone, il cui esempio di vita offre ancora oggi fecondi spunti di riflessione, a partire dalla sua lunga esperienza politica che, incominciata in Sicilia alla fine dell’Ottocento, al tempo dei Fasci siciliani, continua nell’età giolittiana con le lotte al trasformismo, approda alla fondazione del Partito Popolare Italiano, per poi raccogliersi negli ultimi anni dell’esilio in una forte riflessione sulla natura dei totalitarismi, sulle debolezze della democrazia, sull’eliminabilità della guerra. Ce n’è a sufficienza per capire che l’insegnamento di Sturzo, gravido ancora di un messaggio di grande attualità, merita di essere riletto e approfondito non solo dagli studiosi del suo pensiero, ma dai teorici delle istituzioni e da chi assume compiti politici e rappresentativi del consenso popolare.
Nell’attuale situazione di grave crisi politica e morale una rilettura delle pagine più significative dello statista siciliano appare però particolarmente necessaria non tanto per le soluzioni, pur validissime, che Sturzo propone riguardo agli innumerevoli temi trattati in campo economico, politico, legislativo e per problemi quali le riforme istituzionali, la partitocrazia, le autonomie locali, quanto, soprattutto, per il senso dello Stato, la passione civile, l’afflato etico che sottendono la sua analisi. Oggi, infatti, il ritorno a Sturzo deve riagganciarsi principalmente all’idea suprema animatrice del suo impegno democratico: l’affermazione contemporanea della moralità e della concretezza della politica. Moralizzare la vita pubblica è stata una delle idee fisse sulla quale Sturzo ha insistito con la sua penna vivace e caustica, intendendo ogni sua attività, compresa quella politica, come una missione “saturata di eticità”, ispirata all’amore del prossimo e resa nobile dalla finalità del bene comune. E questo messaggio di Sturzo, che ripropone quell’unione nella distinzione tra politica e morale, costituisce senza dubbio l’insegnamento più profondo e immediato che si deve trarre dalla lettura di ogni pagina della sua immensa e multiforme opera.
Dobbiamo però ricordare che il fondatore del Partito Popolare, partendo dal concetto della inseparabilità della politica dall’etica, a qualsiasi costo, anche con il rischio della perdita del potere, mise continuamente alle strette la classe dirigente italiana, con i suoi difetti e le sue colpe, non fermandosi di fronte ad amici, a partiti e a organismi economici, anzi, i suoi moniti vennero diretti principalmente contro i democratici cristiani, in quanto maggiormente obbligati all’osservanza delle leggi: “La missione del cattolico – ammoniva Sturzo nel 1956 – in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica, è tutta impregnata di ideali superiori, perché in tutto si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa”.
E allora si faccia “pulizia, pulizia morale, politica, amministrativa”, come chiedeva il sacerdote siciliano e, più che “l’effimera organizzazione elettorale, si offra una forza fatta di convinzioni profonde!”. Oggi è più che mai necessario e urgente che chi ricopre posti di responsabilità torni a rispettare quelle regole elementari già ricordate da Sturzo, ma non per questo scontate, anzi spesso dimenticate, come quella di “fare ogni sera l’esame di coscienza e imporsi buoni propositi; rigettare fin dal primo momento che si è al potere ogni proposta che tenda all’inosservanza della legge per un presunto vantaggio politico; avere cura delle piccole oneste esigenze del cittadino come di un affare importante; non coprire con l’autorità le malefatte ma lasciare che la giustizia sia per tutti rigorosa; non amare troppo il denaro perché conduce a mancare gravemente ai propri doveri; non mentire perché la menzogna interrompe il dialogo umano e toglie qualsiasi credito alla resipiscenza; non circondarsi di adulatori perché l’adulazione fa male all’anima e altera la visione della vita”.
A più di cinquant’anni da quelle “prediche al vento”, mentre i mali di allora rischiano di trasformarsi in cancrena e di travolgere la stessa democrazia, queste sono le analisi e i rimedi più semplici ma certamente più validi ed attuali indicati dal grande vegliardo e che gli italiani, soprattutto i giovani, vorrebbero vedere messi in pratica al più presto. E anche se lo stesso Sturzo sosteneva che “non si corregge l’immoralità solo con le prediche, i riferimenti storici o, tanto meno, con gli articoli di giornali”, siamo persuasi che si può essere sempre in tempo per il recupero di quei valori, purché si voglia recuperare da parte di tutti i politici e di ciascun cittadino, quel “supplemento d’anima”, quella passione e quell’apprezzamento per la vicenda umana che, per piccola cosa che sia, aiuti a ritrovare finalmente la dignità del proprio compito.
Concetta Argiolas