L’ITALIA SI DIFENDE, EHM, A KABUL

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Le escandescenze dell’articolo “Logica demagogica e provinciale” (La Stampa 8 luglio 2011, autore V.E. Parsi) echeggiano l’involontaria, intensa comicità dell’editoriale di un opinion leader del tempo, nei giorni del 1870 in cui la Corte e i marescialli di  Napoleone III decidevano se dichiarare guerra alla Prussia dopo l’affronto del ‘telegramma di Ems’: “Se non attaccheremo Guglielmo I nessuna dama d’Europa accetterà più il braccio di un gentiluomo francese”.   E il quotidiano “La Presse” scrisse: “Se la Prussia rifiuterà di battersi la costringeremo con la clava a ripassare il Reno, a rinunziare alla riva sinistra”. (Si sa come finì. Le dame d’Europa furono appagate perchè il Secondo Impero dichiarò la guerra. Pochi giorni dopo le battaglie di Froeschwiller/Woerth e di Sédan cancellarono sia l’Impero sia l’imperatore, tolsero l’Alsazia e mezza Lorena alla Francia, poi nel 1914 condannarono Parigi a suscitare la Grande Guerra per recuperare le province perdute, infine nel 1939 costrinsero ad affrontare il Reich di Hitler che si vendicava di Versailles annichilando la Terza Repubblica). Prima di scrivere, V.E.Parsi avrebbe fatto bene a pensare alla propria reputazione di studioso.

“Un Suk indegno- esordisce la sua catilinaria- che svende l’onore del Paese e il sacrificio delle sue Forze Armate. Il modo peggiore di rendere omaggio al caporale Tuccillo (terzultimo nostro caduto in Afghanistan– N.d.R.), di far sentire ai suoi commilitoni la vicinanza della Patria che loro difendono e altri umiliano”. Qui, oltre che altrove, è l’assonanza con la tremenda ingiunzione de ‘l’Echo’ ai gentiluomini francesi: l’asserzione secondo cui i commilitoni del caporale Tuccillo “difendono la Patria”. Per scongiurare risate, non era il caso di precisare da chi ci difendono, e quanto grave è la minaccia?

Altro acre rimpianto: “Per quasi venti anni sulle missioni militari internazionali si era dispiegato il tanto auspicato spirito bipartisan, questo convergere sul senso di decenza quando è in gioco la stessa idea di Patria. Tutto questo è stato gettato alle ortiche, per il diktat di chi fatica ad alzarsi in piedi quando passa la bandiera. Le missioni militari internazionali non costituiscono più un inviolabile ‘sancta sanctorum’ in cui tutelare l’interesse nazionale”.

Ad ogni modo, è chiaro: il Suk indegno di cui all’incipit è la decisione di rimpatriare 2000 degli uomini mandati all’estero a fare guerra per la pace. Invece non è chiaro il ‘sacrificio delle Forze Armate’. Esse operano fuori casa -retribuite come mai nella loro storia- soprattutto perché la loro lobby, segmento in divisa del nostro ‘military-industrial complex’, ha fatto di tutto per essere destinata al sacrificio: altrimenti la ragion d’essere delle FF.AA., a quasi 70 anni dalla resa senza condizioni a Cassibile e più anni ancora dalla distruzione della nostra flotta a Taranto, sarebbe quasi sparita. La repubblica che in teoria aveva ripudiato la guerra avrebbe solo bisogno, per il caso di attacchi dall’Eritrea o dall’Albania, della Guardia costiera, di carabinieri e di un po’ di alpini con compiti strettamente difensivi. Non dovremmo mantenere che un terzo, al massimo, dei 100.000 soldati che furono concessi alla Germania dal trattato di Versailles.

E’ andata diversamente. Se spendiamo disgustosamente per la Difesa è perché la Guerra Fredda obbligò noi sconfitti a fornire ‘sepoys’ (erano gli ascari dei britannici in India) alla Santa Alleanza contro l’Urss. La Guerra fredda è finita da un ventennio, è sopravvissuto l’istinto di conservazione della classe militare e dell’industria degli armamenti, quel comparto non molto onorevole del nostro manufatturiero che per ora è al riparo dalla concorrenza globale. Sono sopravvissuti gli obblighi dell’atlantismo. Il sullodato autore chiama questi obblighi “la parola data a Paesi amici ed alleati”, parola che a parer suo non può essere ritirata.

Orbene la nostra parola non ci ha mai impegnato granché. Dall’Unità in poi abbiamo sempre tradito gli alleati (il nostro vessillo dovrebbe chiamarsi il Multicolore, col motto ‘Franza o Spagna purché se magna’). 1) Rifiutammo -ma facemmo benissimo- di entrare nella ridicola guerra di Napoleone III, il quale pure ci aveva dato Milano e la Lombardia. 2) Rinnegammo la Triplice di cui eravamo parte e anzi la attaccammo, perché Parigi e Londra promettevano di più per il molto sangue che avremmo versato. 3) Stipulammo il Patto d’Acciaio col nemico degli alleati del 1915. 4) Ci offrimmo cobelligeranti e mulattieri dei vincitori del 1943, contro gli alleati del Patto d’Acciaio.

Eccoci oggi ascari della Nato. Di solito i mercenari vengono pagati da chi li assolda. Noi no, siamo gratuiti, laddove tagliamo il sostegno ai bambini storpi e ciechi per poter arricchire le indennità ai nostri idealisti in divisa.

Ecco come V.E.Parsi giustifica che Roma alleggerisca il costo delle spedizioni statunitensi: “E’ uno dei pochi risultati concreti di quasi 20 anni di politica estera. Il mondo si era fatto troppo vasto per un paese come l’Italia, che aveva sempre faticato a trovare un posto tra i Grandi. I governi di destra e di sinistra avevano individuato nelle missioni militari internazionali uno strumento per tutelare il  rango internazionale dell’Italia, nonostante molti altri indicatori ne suggerissero un declassamento (…) Proprio la quantità e la qualità della partecipazione militare italiana alle missioni internazionali ha fatto emergere un’immagine dell’Italia capace di sfidare gli stereotipi vecchi e nuovi di un paese cialtrone, arraffone e inaffidabile”.

Avete capito, governanti di Messico, Colombia e Guinea-Bissau? I vostri narco-paesi non hanno una reputazione molto alta, ma parecchio cambierà se riuscirete, magari rivolgendovi a istruttori idealisti delle nostre FF.AA., a realizzare una partecipazione alle missioni militari. Allestite contingenti messicani, colombiani e guineani (almeno di cucinieri, parrucchieri e massaggiatori per guerrieri e guerriere di Panetta e Rasmussen) e il vostro rango si ingigantirà. Forse la comunità internazionale no, ma vari Marii Appelius della Nato vi assegneranno un posto in piedi tra i Grandi.

Domanda. Dov’è la differenza tra il ragionamento di Parsi (forniamo contingenti, saremo importanti) e quello di A.Salandra  e S.Sonnino, quando col Patto di Londra si impegnarono a fornire 600 mila morti e il doppio di feriti e mutilati? Dov’è la differenza con la decisione del Duce di entrare nella guerra del Fuehrer? Altra domanda: dove finirà il rango della Bundesrepublik se continuerà a non partecipare alla Seconda Spedizione di Suez in Libia? Non si rende conto, la incosciente Berlino, che la gloria dei feldmarescialli germanici, da Scharnhorst e Blucher a Manstein,  Rommel e Witzleben, rischia d’essere oscurata dalle recenti intuizioni strategiche del Consiglio supremo di difesa, presieduto in persona dal Comandante in capo? A quest’ultimo proposito mi sia consentito di suggerire una sommessa innovazione: in quanto Comandante in capo,  il capo dello Stato vesta una divisa di generalissimo, quando regge il suddetto Consiglio supremo.

Tra parentesi, oh Italiani: non siete orgogliosi degli splendidi portamenti e delle divise sartoriali dei generali che ornano sale e plance-comando del Quirinale, vari dei quali strategoi hanno spalline a 4 stelle da marescialli, come Pietro Badoglio, il più illustre boccista del Regno, e Rodolfo Graziani, il Leone di Neghelli?

Più ancora, non siete fieri che operiamo tantissimi cacciabombardieri di pace, a 32.000 euro per ora di volo? E una maestosa portaerei tascabile, corrusca come la ‘Graf von Spee’, indispensabile per decisive incursioni su Tripoli e per portare acqua minerale e buondì ai terremotati di Haiti (avremmo forse fatto la stessa figura di grande potenza se avessimo mandato un semplice mercantile?). Purtroppo lo ‘indegno Suk’ che ritira 2.000 difensori della Patria lontana ha anche costretto la ‘Garibaldi’, col pretesto (indegno of course)  che navigando costa 120 mila euro al dì, a starsene alla fonda a Taranto; laddove essa potrebbe, sempre per difendere la Patria, fendere il Mar dei Coralli, acque naturalmente nevralgiche per il nostro rango, oltre che per difenderci.

E’ il prezzo d’essere governati da un suk indegno e provinciale invece che dagli statisti planetari e interstellari che piacerebbero a ogni Mario Appelius del nostro tempo.

Basta cachinni. Riferiamo invece il ravvedimento operoso de La Stampa. Tre giorni dopo il ‘j’accuse’ di V.E. Parsi, e in concomitanza con una storia di prima pagina ‘Polizia sull’orlo della bancarotta: commissariati sotto sfratto e mancano auto e benzina’, pubblica la seguente rettifica di M. Dassù: “Esistono motivi razionali per una riflessione sulle missioni internazionali. Nessuna politica estera seria può continuare a fondarsi sull’uso improprio delle missioni come unico strumento per difendere il rango dell’Italia. Un meccanismo del genere non è utile (…) Il costo non è trascurabile, anche perché penalizza altri aspetti della politica estera: è da tempo che Roma non paga la sua quota di un ‘Fondo globale contro le malattie’ proposto proprio dall’Italia al G8 di Genova. Esistono anche per l’America vincoli economici più rilevanti di prima (…)”.

“Riducendo i suoi impegni militari globali l’Italia perderà anche rango? Non è detto. Oggi il rango non dipende da quegli impegni: essi offrono benefici più bassi che in passato. Invece aumenta il peso della credibilità economica di un paese: perfino per l’America il debito pubblico è diventato una questione di interesse nazionale. Tanto più lo è per l’Italia: non esiste un fattore altrettanto importante per il rango di un paese”.

Oggi il presidente Sarkosy, senza nemmeno attendere la morte di cinque suoi dragoni o zuavi, ha annunciato il ritiro dall’Afghanistan di un quarto del contingente francese. Un Suk indegno. Uno statista provinciale. 

A.M.C.