A fine giugno 2010 la Santa Sede fece un gran parlare di una “novità decisiva del papato Ratzinger”: l’istituzione del pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione dell’Occidente, evangelizzazione definita ‘una sfida da raccogliere come nei primi tempi della Chiesa’. Forte rilievo anche sul capo di questo ulteriore organismo di Curia, l’arcivescovo Rino Fisichella, rettore dell’università Lateranense, presidente della pontificia Accademia della vita, ed anche Cappellano della Camera dei Deputati.
Superiamo, con tutto lo sforzo di cui siamo capaci, la ripugnanza per quest’ultima credenziale, Cappellano della Camera. Passi se tale ‘dignità’ appartiene alla famiglia delle antiche cariche di palazzo come ciambellano, siniscalco (tagliava le carni per il re), cerimoniere, et cet. Se invece il cappellano di Montecitorio fosse davvero supposto di dirigere le anime di Montecitorio, chi non riderebbe?
I parlamentari sono il segmento più immorale di ogni società. Sono i peggiori. Non è sicuro abbiano una vera e propria anima. Se sì, la venderanno/sono in trattative per venderla a Mefistofele, più probabilmente alle lobbies che pagano in voti o in bonifici esteri. Quanti si saranno fatti ispirare dal Cappellano? E se quest’ultimo non è un umile cappuccino ma un alto prelato di curia, uno -è stato detto- “che conosce la politica”, come non essere certi che Egli non può che aver fatto il sensale di influenze e il plenipotenziario d’affari tra i Sacri Palazzi e i Proci usurpatori?
Ma persino un cappellano dei Proci -uno che secondo le cronache ha guidato un pellegrinaggio a Mosca e a San Pietroburgo di deputati e senatori, intensa occasione di ascesi per anime assetate di trascendenza- persino un cappellano che conosce la politica può pensare pensieri giusti. Leggiamoli. Appena designato Nuovo Evangelizzatore d’Occidente, mons. Fisichella si disse seguace di Dostoevskij: “Un uomo colto, un europeo dei nostri giorni, può credere, credere proprio, alla divinità di Gesù Cristo?”.
Quando Benedetto XVI parlò di ‘eclissi del senso di Dio’, chiesero a Fisichella, che può fare la Chiesa? Risposta: ”Tornare all’essenziale. Mettere al centro l’annuncio di Gesù (…) Se la Chiesa dimentica il suo scopo, la sua natura, se dimentica di annunciare la salvezza e dare speranza all’uomo d’oggi, allora è inevitabile che divenga uno dei tanti gruppi presenti nella società. Ma noi non siamo questo. Fin dai primi tempi la Chiesa si è distinta da qualsiasi altra comunità perché celebrava l’Eucarestia, annunciava la parola di Dio, testimoniava la verità. E l’annuncio del Vangelo al mondo contemporaneo richiede testimoni credibili”. Ancora: “Tenere lo sguardo fisso su Gesù Cristo. La Chiesa vive di purificazione e rinnovamento. Dobbiamo riflettere e trovare gli strumenti, i linguaggi e le forme perché l’annuncio di Gesù possa ancora suscitare la fede dell’uomo contemporaneo. Il Papa lo ha detto chiaro: ‘la nostra cultura si è formata grazie al quaerere Deum, alla ricerca di Dio’. Penso al documento più bello e innovativo del Concilio Vaticano II, la Dei Verbum, lo sforzo di riproporre la rivelazione”.
Anni fa un saggista cattolico francese, Bernard Lacomte, ha potuto intitolare un libro su Benedetto XVI “L’ultimo papa europeo”. Il senso della provocazione è di annunciare non tanto il passaggio della tiara ad altri continenti, annuncio non molto dirompente, bensì la fine di due millenni di continuità, il passaggio a tempi nuovi. Per questi tempi nuovi le intuizioni strategiche di Fisichella sono, nelle sue parole, ‘mettere al centro l’annuncio di Gesù’, ‘annunciare la salvezza’, ‘celebrare l’Eucarestia’, ‘testimoniare la carità’, ‘tenere lo sguardo fisso su Gesù’, ‘riproporre la rivelazione’.
Io che scrivo sono un cattolico praticante, rivoltoso sì ma posseduto in pieno dallo spasimo di quaerere Deum. Come posso non concludere, dal programma Fisichella, che per ri-cristianizzare l’Occidente si pensa a semplici aggiornamenti di una comunicazione che dura da 20 secoli, dunque ad un affinamento di natura mediatica?
Il dramma del cristianesimo è che, passato il tempo eroico delle origini, la Chiesa istituzionale ha condotto un’interminabile operazione comunicativa, quasi sempre contraddetta dall’agire concreto. Parole nobili, azioni quasi tutte indegne. Le enunciazioni affinate da Fisichella sono le stesse dei tempi foschi di Marozia, delle Investiture, delle simonie, delle turpitudini rinascimentali, della vendita delle indulgenze, del nepotismo sfrontato, delle guerre papali di conquista, di ogni altro crimine di una storia tremenda.
Se la dicotomia è stata tra parole e opere, sono le opere da riformare non le parole. Da sole
le parole non bastano più. Aggiornarle è un’operazione cosmetica. Tenere lo sguardo fisso su Gesù è una non-proposta. La Chiesa ha bisogno di fatti, cioè anche di uomini, opposti a quelli di sempre. Ha bisogno di svolte, di amputazioni aspre: in primis di eleggere un papa rivoluzionario, giovanissimo e non cresciuto nella Curia, oppure anche vecchio ma dal cuore ardente, capace di ripudiare quasi tutto del retaggio.
La Chiesa ha bisogno di chiudere il Vaticano, sentina di tanti mali, e di abbandonare Roma. Di destinare ai poveri del mondo quasi intero l’immenso valore di tutto ciò che è vendibile: pacchetti azionari, palazzi, arredi, opere d’arte, tenendo solo il poco che occorre a una Chiesa tornata povera. Le sontuose basiliche-simbolo-dell’errore, come San Pietro, andrebbero trasformate in poli turistici a pagamento, gestiti direttamente dalle suore del Cottolengo o dai portantini dei lebbrosari africani. Anche i consessi di vertice -collegio dei cardinali, sinodi, concìli, grandi diocesi-andrebbero fatti umili, poveri e giovani.
Solo le opere, le cose da toccare, renderanno credibili le parole dell’evangelizzazione. Gli slogan, i teoremi, i sillogismi degli uomini della continuità, no. Le trovate dei teologi comunicatori, mobilitatori di movimenti, riempitori di piazze e di stadi potranno suscitare titoli di giornale e talk shows. Ma saranno acqua versata sulla sabbia dell’ateismo.
l’Ussita