E-DEMOCRACY: IN ISLANDA E’ COMINCIATA, A MILANO SPERIAMO

La resurrezione in Italia del referendum, cosa implica a termini di logica se non una tendenza a ridurre, in prospettiva a revocare, la delega alla classe politica peggiore d’Occidente? Occorre, certo, che il referendum sia molto sentito, invece di proporre temi cervellotici o ludici. Questo 12 maggio i temi erano coinvolgenti, e in più agiva l’avversione nei confronti del Berlusconi ultrà del turbocapitalismo.

Se l’animus del 12 maggio durasse, sulla distanza l’effetto sarebbe l’inizio della fine della democrazia rappresentativa, dunque l’avvio di questa o quella versione della sovranità di popolo. Sarebbe il ritorno alla Polis dei cittadini invece che degli oligarchi ladri. Tutto ciò a valle della consapevolezza che la nuova Polis si è già delineata come elettronica. I prodigi della tecnologia sono tali da consentire subito possibilità di potere dei cittadini le quali superano quelle dell’Attica, che aveva solo 40 mila residenti di pieno diritto.

In “Internauta” di giugno Tommaso Canetta ha additato il valore dell’esplorazione di democrazia diretta in Islanda: La Nuova Atene sta già sorgendo tra i ghiacci e i vulcani. Canetta ha riferito puntualmente le novità esposte da Maria Serena Natale su “Il Corriere della Sera”. Siamo alla piena integrazione tra democrazia, tecnologia ed estrazione a sorte. Il quotidiano propone categorie quali ‘agorà virtuale’ e ‘democrazia diretta dell’antica Atene’. Per alcuni di noi a “Internauta” le novità dall’Islanda confermano una tendenza che ha per sé l’avvenire.

La grave crisi apertasi nel 2008 ha indotto gli islandesi a darsi una nuova Costituzione. Per riscriverla hanno eletto all’antica 25 costituenti, ma il testo dal quale essi partono è il documento steso da una commissione che ha riordinato le proposte di 950 cittadini estratti a sorte. Il sorteggio, che quattro settimane fa un titolo de “il Riformista” ha definito “l’anima della democrazia” si fa dunque antagonista dell’urna elettorale, da due secoli strumento principe della spoliazione dei cittadini. L’urna è l’esatto contrario di quella sovranità popolare che tante Costituzioni, cominciando dalla nostra, evocano in tutta menzogna. L’esperienza di due secoli ci dà la certezza che le elezioni esprimono gli eticamente peggiori. Il sorteggio, ‘pescando’-con opportuni meccanismi anzi automatismi- nella società civile, produce randomcraticamente un personale politico pro tempore  impossibilitato dalla brevità dei turni e dall’obiettività del computer a farsi casta.

L’audacia islandese non finisce nella scelta random di 950 ‘pre-legislatori’. I 25 che stenderanno il testo finale della nuova Carta stanno divulgando (o hanno già divulgato) i resoconti e le bozze dei loro lavori attraverso i social network (You Tube, Facebook, Twitter), stimolando i cittadini ad esprimersi e a proporre. A complemento di tanto scrupolo di vicinanza al sentire dei cittadini ci sarà un referendum finale. A quel punto la ratifica da parte dell’ Althing, il vecchio parlamento di sessanta membri, è dovuta. “Non era pensabile” ha spiegato il capo del governo, la socialdemocratica Johanna Siguroattir, “una revisione costituzionale senza la diretta partecipazione del popolo”. Un ruolo così immediato dei cittadini non c’era mai stato, nemmeno nei contesti più avanzati dell’ecumene scandinavo. L’Islanda è primogenita tra le democrazie che andranno facendosi dirette e ‘ateniesi’ , grazie alle straordinarie conquiste dell’elettronica.

Le poleis del sistema ateniese potevano reggersi come si reggevano in quanto le loro cittadinanze erano molto ristrette, dunque gli agorà esercitavano il potere. Nelle gigantesche nazioni d’oggi la tecnologia trionfante permette -oltre a consultazioni generali d’indirizzo attraverso un referendum ‘continuo’ infinitamente più agevole dei nostri- l’esercizio quotidiano della deliberazione da parte di un campione (denominato ‘macrogiuria’ dalla politologia americana) di persone qualificate scelte a sorte -per un turno breve- dal computer, sorteggiate all’interno, p.es., di un centesimo dei cittadini. Varie formule e tecniche programmeranno un computer centrale perchè selezioni i più qualificati in modi inattaccabili.

In giugno “Internauta” ha anche segnalato, sempre per la penna di Canetta, le novità di e-democracy promesse ai milanesi dal manifesto politico di Giuliano Pisapia. Esso annuncia “forte innovazione in statuti e regolamenti finalizzati a strumenti diretti di consultazione dei cittadini, anche via Internet: per esempio proposte di referendum di indirizzo con raccolta firme, voto on-line e certificato elettorale digitali”.

Per ora è solo un annuncio. Forse risulterà la tradizionale bugia elettorale. Ma chi dice che la Milano ‘dei creativi’ non possa capeggiare una svolta coraggiosa, tanto più quando quasi ogni casa ha un computer e molte tasche contengono un telefonino high tech? E’ vero, l’esplorazione del futuro potrebbe risultare più facile in una cittadina-modello del Trentino che in una metropoli afflitta da complessità  e problemi che un po’ la fanno assomigliare a Napoli.

Tuttavia è assolutamente certo: mai, proprio mai, avremo riforme non irrisorie se dovrà farle la classe politica. Invece le faranno giurie di gente onesta -l’opposto dei politici- e preparata,  estratta dal computer per un periodo limitato e con divieto di rinnovo. 66 anni di cleptocrazia hanno dimostrato al di là di ogni dubbio che i mestieranti delle urne non sono mai migliori per cultura della media dei cittadini; sono nettamente peggiori per moralità. Li programmano a malversare i ricatti e le clientele della politica parlamentare (e regionale, e provinciale, e locale, e di comunità montana, etc). Nella peggiore delle ipotesi diciamo che, se Giuliano Pisapia mancherà alla promessa  della e-democracy, avrà quanto meno segnalato agli altri della professione politica la convenienza -per loro- di farsi furbi:  di annunciare novità attraenti e giuste. Magari delegando i nipoti ad attuarle.

A.M.Calderazzi