Ripubblichiamo qui due articoli già pubblicati in passato, che hanno l’amaro sapore delle verità di Cassandra. Sono stati sufficienti pochi giorni perché la discussione sulla liberalizzazione dell’accesso alla professione forense generasse la prevista reazione della Gilda dei legulei. “O quelle norme spariscono, o noi affossiamo tutto, dalla manovra economica al governo”, avrebbero intimato i molti azzeccagarbugli della maggioranza, in barba alla speculazione internazionale che stava (e sta) massacrando il Paese.
Così i provvedimenti liberalizzatori sono spariti dall’agenda del governo e le tante cariatidi della professione hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. In quei pochi giorni però, in tanti ci avevano sperato.
1 LUGLIO 2011
È una proposta, un’ipotesi. Una bozza di un’ipotesi. Insomma praticamente per ora non c’è nulla, ma è stato sufficiente che si azzardasse l’idea di abolire l’esame da avvocato per scatenare il panico nelle stanze sfarzose dell’Ordine.
Secondo la proposta di legge delega, per ora, sarebbero sufficienti due anni di pratica per poter ottenere il titolo e poter esercitare la professione. “Sono sconcertato e allibito”, dichiara Guido Alpa, presidente del Consiglio nazionale forense. “Si vuole delegittimare l’avvocatura. Una simile liberalizzazione ucciderebbe il settore invece che offrire opportunità”.
E, si noti bene, non è in discussione l’abolizione dell’ordine professionale. Qui si parla dell’abolizione di un meccanismo diabolico e inefficiente qual è l’esame di Stato da avvocato. Chiunque conosca lo svolgimento di tale esame sa che se fosse gestito dalla camorra funzionerebbe in modo più equo. La correzione dei compiti è fatta in totale assenza di trasparenza, il tasso di aleatorietà è superiore che in un casinò di Las Vegas, porcherie di ogni sorta sono state testimoniate a più riprese. Eppure si ritiene che sia più efficace mantenere questa specie di ordalia, con tanto di intervento divino in forma di “manine” amiche, che non abolirla.
Certo si dirà che è l’articolo 33 della Costituzione che prescrive gli esami di Stato per le professioni. Se per questo l’articolo 68 dava l’immunità ai parlamentari, eppure lo si è potuto cambiare. Qualcun altro dirà che se l’esame funziona male si deve riformare l’esame, non abolirlo. Certo, ma per riformare l’esame si dovrebbe riformare la testa degli avvocati e degli italiani in generale. Un’impresa decisamente più difficile che non l’abolizione.
Considerato il numero di giovani che, senza demerito o colpa, restano arenati molto più a lungo del necessario in un praticantato sottopagato (vista l’impossibilità di passare con la sola preparazione l’esame di Stato), il provvedimento sarebbe utile e giusto. Tanto gli avvocati sono in sovrannumero già ora. Che la selezione la operi il mercato, e non quel mostro ibrido al guinzaglio della gilda (metà “concorso Bisignani”, metà scommessa sulle corse degli struzzi) che è oggi l’esame di avvocatura.
4 LUGLIO 2011
Si è già scritto della paventata abolizione dell’esame da avvocato e oggi, sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella ci emula parlando della situazione generale degli Ordini professionali. Pur trattando solo marginalmente la questione dell’esame da avvocato, dall’articolo emergono alcune considerazioni.
Primo, i problemi dell’esame dipendono soprattutto da un conflitto di interessi tra esaminatori ed esaminati. In Gran Bretagna, ci informa Stella, ai vertici dell’Ordine stanno anche studenti e, soprattutto, consumatori. In Italia ci sono quelli che hanno tutto l’interesse ad escludere concorrenti più giovani e più bravi dal mercato.
Insomma, l’Ordine andrebbe riformato se lo si vuole mantenere, e con esso l’esame di Stato. Non lo si vuole fare? Almeno si abolisca l’esame, e se si è tanto in pena per l’eventuale ingresso in massa di avvocati “peones” sul mercato, con rischi per l’affidamento dei consumatori, allora si riformino le facoltà di Giurisprudenza, introducendo il numero chiuso come già avviene per Medicina. Un test accademico fatto da accademici (puri se possibile, cioè non anche avvocati) sarebbe sicuramente più oggettivo, anche se non sarebbe ovviamente esente dai mali endemici di qualsiasi esame si tenga in Italia. Con tutto che, come dimostrato da un’indagine de il Sole 24h (“Classe forense, i numeri da sfatare”, 28 aprile 2009), in Italia non è che ci sia un numero di avvocati così smodatamente più alto che nel resto di Europa (ad eccezione della sempre citata Francia).
Ma ecco perchè queste riforme non si faranno mai. Su 952 parlamentari 134 sono avvocati. Una lobby di tutto rispetto. Toccare uno degli Ordini professionali, significa mettere in fibrillazione anche tutti gli altri. Stante che i liberi professionisti iscritti agli ordini sono poco meno di 4 milioni di persone (un partito quindi che raggiunge quasi il 10% dell’elettorato), quale partito potrebbe affrontare di petto il problema? Tanto per non essere stupidamente ottimisti, nessuno. Nessuno potrebbe resistere al fuoco di sbarramento di una simile macchina da guerra.
A meno che la pressione dell’opinione pubblica non diventi tale da rendere “politicamente” conveniente fare le riforme.
Tommaso Canetta