Non so quale delle sue scelte strategiche ha rovinato di più Zapatero. So che sono state le stesse scelte di Manuel Azana: la storia si è ripetuta in modo impressionante. F.D.Roosevelt applicò lo stesso metodo di Woodrow Wilson per fondare l’impero planetario degli Stati Uniti: una guerra mondiale. L’Allievo incassò risultati migliori del Maestro; quasi certamente Zapatero sarà meno sventurato di Azana. L’errore capitale dello statista spagnolo degli anni Trenta fu l’ossessione liberal-radicale e l’anticlericalismo, con la conseguente cecità alla questione sociale: cioè alla miseria dei proletari, grave ma tollerabile nelle città, disperata nelle campagne.
Nel 1931, al nascere della Repubblica di Spagna -era la Seconda, ma la Prima (1873-75) abortì subito- Azana fu l’astro della politica nazionale, un prodigio di bravura: un paio di discorsi e passò da letterato con pochi lettori a leader del primo rango. Restò un prodigio fin quando credette di trasfigurarsi da capo del governo a presidente della repubblica (al suo posto mise un carneade). Qualche mese dopo scoppiò la Guerra civile e da quel momento Azana non contò più niente; fu un Re Travicello. Al crollo della Repubblica finì rifugiato in Francia, confuso nella massa dei fuggiaschi e degli sconfitti. Al posto di frontiera dovette presentarsi a piedi e non nella Hispano-Suiza presidenziale. Il più fallito tra gli statisti.
Azana sapeva, non per essersi impegnato sul problema ma perché tutti sapevano, che in Andalusia, in Estremadura, nella Castiglia-La Mancia le famiglie dei braccianti non mangiavano tutto l’anno, solo un numero più o meno alto di mesi. Per il resto digiunavano. La terra appartenendo quasi tutta ai latifondisti – e il solo Welfare essendo quello che era riuscito a varare negli anni Venti il dittatore filosocialista Miguel Primo de Rivera (odiato e poi abbattuto dai reazionari)- la condizione dei contadini poveri era disumana. Ma Azana, padre azionista cioè liberal-radicale della Repubblica, era solo proteso ad ammodernare il vecchio ordine, a far trionfare il laicismo, a gratificare una borghesia urbana rafforzata rispetto ai notabili liberali e monarchici. Non aprì mai la lotta contro l’ingiustizia sociale.
Di conseguenza, prima della congiura dei generali (luglio 1936), le contestazioni contro l’ordine repubblicano vennero soprattutto da sinistra: dalle lotte anarchiche nelle campagne e dai minatori delle Asturie. A Casas Viejas lo scontro a fuoco tra una famiglia di miserabili e la Guardia Civil fece 20 morti. Per schiacciare la rivoluzione asturiana (5-18 ottobre 1934) Madrid mandò il generale Francisco Franco con 20 mila uomini, e Franco utilizzò l’artiglieria. Decine di migliaia di rivoltosi furono processati dai tribunali militari, migliaia furono condannati. Nei primi giorni del conato asturiano 34 sacerdoti furono assassinati e 58 chiese incendiate. 1100 rivoltosi caddero o furono passati per le armi. Le truppe persero 300 uomini.
La Repubblica tentò di fare una riforma agraria, ma non seppe vincere la resistenza dei latifondisti (come non aveva saputo Primo de Rivera, membro dissidente dell’alta nobiltà agraria e amico del popolo). Nel 1932, quando fu combattuta la battaglia parlamentare su una legge che attenuasse la ferocia nei confronti dei braccianti (“la màs esperada de todas las reformas”), Manuel Azana non vi prese alcuna parte. Leggiamo in proposito il racconto di uno degli storici più accreditati del periodo, Juliàn Casanova cattedratico a Saragozza:
Dos anos y medio después de la proclamaciòn de la Repùblica, solamente habian cambiado de manos 45.000 hectàreas, en beneficio de unos 6.000 o 7.000 campesinos. Manuel Azana no partecipò en la elaboraciòn del proyecto, no intervino en los debates en las Cortes y nunca prestò a ese tema, ni a la situaciòn del campesinado sin terra, la atenciòn que dedicò a otros temas. Esa falta de interés profundo por la reforma agraria, que se extendia a casi todos los (politicos) republicanos, incluido el Ministro de Agricoltura, dificultò la aplicaciòn de la ley de septiembre 1932. Se temia la resistencia de los proprietarios y los efectos de una autentica transformaciòn social en el campo (J.Casanova, Repùblica y guerra civil, Critica/Marcial Pons, 2007, pp.32 e successive).
Al principale artefice della Repubblica il dramma dei senza terra, nonché quello alquanto meno terribile dei sottoproletari urbani, non interessava. Le priorità erano abbattere la Chiesa (quando cominciarono gli incendi di chiese e conventi Azana spiegò così l’ordine alle forze di polizia di non reprimere: “Preferisco che le chiese brucino piuttosto che si rompa la testa a un repubblicano”); espellere la religione e i religiosi dall’insegnamento; ‘triturar’ l’ambiente militare tradizionale; laicizzare le istituzioni e crearne di nuove che fossero poli di laicità; improntare il sistema a modelli liberal-radicali e repubblicani. Il tutto nel pieno rispetto dei diritti della proprietà e del denaro, giudicati ben più assoluti del diritto a mangiare dei poveri.
Per la Repubblica la miseria delle plebi era problema non prioritario, anche perché le plebi di mezzo mondo soffrivano degli strascichi della Grande Depressione. Come risultato, il quinquennio repubblicano fu una successione di violenze, conati insurrezionali, scontri a fuoco tra sottoproletari e forze dell’ordine repubblicano.
Conosciamo la fine miserevole dello statista e dell’uomo Azana. Le circostanze saranno senza confronto più benigne con José Luis Rodriguez Zapatero. A fine maggio è sempre presidente del governo. Se la Repubblica non fosse stata uccisa, anche da Azana, Zapatero ne diverrebbe forse capo di Stato, come il suo malaugurato modello. Ma è certo che Zapatero, ottant’anni dopo, ha agito quasi esattamente come Azana: laicità e anticlericalismo; diritti dei ‘diversi’ invece che delle maggioranze e del nuovo proletariato (precari, immigrati, ceti non protetti); quasi nessun avanzamento della socialità sostanziale; quasi nessun contrasto agli eccessi ipercapitalistici.
A. M. Calderazzi