LIBIA: CAPORETTO DELLE DIPLOMAZIE

E’ giusta l’abitudine di irridere alle risoluzioni dell’ONU, la scadente organizzazione planetaria in origine voluta, col nome Società delle Nazioni, dal cervellotico presidente Woodrow Wilson, e successivamente ingigantita da Franklin Delano Roosevelt, ben più furbo discepolo del Cervellotico. L’Onu non ne ha fatta, in proprio, una di buona. Le volte che ha agito è stato per l’impulso, gli interessi, i bombardieri e i tanks dei suoi azionisti più potenti, anzi prepotenti. Era stata architettata per mettere fuori gioco gli egoismi degli Stati e introdurre nella vicenda internazionale elementi, o almeno vaticini, di governo mondiale. L’ambizione, almeno a chiacchiere, era di sostituire le diplomazie tradizionali con una multilaterale, mossa da afflati universalistici.

Nulla di tutto ciò è accaduto a partire dal 1919, poi dal ’45. Le feluche multilaterali si sono dimostrate persino più inette di quelle delle cancellerie nazionali. Nel passato accadeva a qualche ambasciatore di fare colpi grossi, come scatenare conflitti immani che momentaneamente dilatavano il suo miserabile ego. Nel 1914 Maurice Paleologue, intimo del bellicista presidente francese Poincaré, contribuì da capo missione a Pietroburgo, col ministro russo Sazonov e col granduca Nicola a convincere lo zar a ordinare la mobilitazione generale, ossia ad aprire la Grande Guerra, dunque a rendere inevitabili la disfatta, la Rivoluzione, la fine dell’impero, lo sterminio della famiglia imperiale, zar naturalmente compreso.

Altro successo ‘magistrale’ fu, nel 1915, il comprare l’intervento in guerra dell’Italia con un futile patto di Londra invece che cash. Gli ambasciatori francese e britannico fecero la loro parte nell’indurre Roma a passare dalla parte di chi, a parole, offriva molto: più colonie, più Dalmazia, persino un po’ di Turchia. Quelli erano ambasciatori! Gli inviati dell’ONU non fanno mai colpi grossi, non foss’altro che per essere servitori di più padroni.

Quanto accade in Libia conclama sì la nullità della diplomazia multilaterale, ma anche l’inutilità degli apparati diplomatici nazionali più prestigiosi (=pretenziosi). Nelle particolari circostanze del Nord Africa 2011 far cadere, oppure domare, Gheddafi avrebbe potuto essere conseguito senza missili e cacciabombardieri ma con le mosse, le trame e gli chèques della diplomazia. Invece il Dipartimento di Stato, il Quai d’Orsay, il Foreign Office, l’impomatata Farnesina, magari i Talleyrand di Mosca e di Berlino, si sono conclamati una confraternita di negoziatori buoni a niente. Migliaia di morti, distruzione fisica di quanto aveva modernizzato la Libia. Che si tengono a fare le diplomazie, gli apparati pubblici più costosi ed improduttivi di tutti?

I tempi sono cambiati, le feluche sono superflue e persino ridicole nell’età della telematica, di Skype, di dozzine di altre tecnologie prodigiose. I veri decisori non sono nemmeno i ministri degli esteri, sono i capi di governo, ed essi si intendono o litigano direttamente. I diplomatici prenotano alberghi, consigliano cravatte e al più corteggiano mogli di grandi industriali.

E’ vero, oggi la diplomazia è fatta un po’ meno di cerimoniale, protocollo e ricevimenti, un po’ più di contratti, forniture eccetera. Allora le feluche andrebbero sostituite da piazzisti, commercialisti e veri esperti. Per gli eventi mondani ci sono le PR e i catering, per intrattenere madame non occorrono plenipotenziari e consiglieri di legazione con la brillantina. Licenziandoli i risparmi sarebbero immensi; in più la vanagloria si rattrappirebbe.

Anthony Cobeinsy