Bin Laden è morto. Quando mi sono reso conto che la mia scrollata di spalle e un mentale “mm…bene” mi rendevano una specie di otaria volante rosa, non per stazza e colore ma per rarità, mi sono posto qualche domanda.
Chi era Bin Laden? Per me era un terrorista, un fanatico religioso, uno accecato dall’odio e forse dal potere. Me lo immaginavo rintanato in qualche buco, ma anche in una villetta mi sta bene. Era comunque anche un personaggio sconfitto dalla Storia. La primavera araba, così bella scandita dalle invocazioni di libertà e democrazia, e così indipendente, senza bandiere americane o israeliane bruciate, lo avevano relegato nella marginalità. Era comunque il leader di Al Qaeda.
Ma cos’è Al Qaeda? Per me un’organizzazione terroristica. Un network di fanatici islamici. Ma soprattutto un brand, un franchising. Terroristi di tutto il mondo hanno usato il marchio, traendone profitto e fama, garantendo anche un ritorno di immagine alla casa madre.
Purtroppo temo che Al Qaeda sopravvivrà a Bin Laden. Penso infatti che siano motivi sociali ed economici quelli che generano il terrorismo islamico ed il suo brodo di cultura. Non il carisma di un leader.
Stante queste premesse, la morte di Bin Laden mi ha suscitato quel minimo di contentezza per la scomparsa di uno di cui certo non sentiremo la mancanza, e quel minimo di tristezza per l’uccisione di un uomo (ampiamente mitigata dalla consapevolezza che muoiono migliaia di uomini migliori ogni giorno senza che nessuno ne parli). Mi ha fatto incazzare che si sdoganasse la tortura come metodo valido per raggiungere l’obiettivo, e che nessuno abbia fatto mistero che l’intento era quello di uccidere, non di catturare. Non proprio i valori occidentali che vorrei vedere difesi in primo luogo da noi stessi.
Poi ho visto le scene di giubilo negli Stati Uniti. Urla, pianti, caroselli in auto, “U-S-A! U-S-A!”, preghiere, titoli di giornali celoduristi e viscerali, “Brucia all’inferno!”, giustizia è fatta, giustizia come vendetta.
Comprensibile. Tutto comprensibile, almeno alla luce della scarsa stima che è lecito nutrire nei confronti della massa, più che mai di quella americana (non che in quella italiana si affollino i Beccaria e i Verri…). Ma quel senso di nausea, di estraneità, di otaria volante rosa imponevano altre domande e altre risposte.
Chi era Bin Laden per gli americani?Evidentemente Bin Laden era l’incarnazione del male, qualcosa di molto più vicino a Satana che a un terrorista. Bin Laden era un demonio onnipotente e onnipresente da esorcizzare, un cattivo da fumetto, il bersaglio unico (o quasi) dell’odio generato dall’11 settembre. Bin Laden era la ragione di due guerre, o almeno del consenso ad esse, era il valido motivo per cui accettare una diminuzione della propria libertà di spostamento, di comunicazione, di pensiero. Era il peso sull’altro piatto della bilancia di Guantanamo, della tortura, delle operazioni illegali all’estero.
Viviamo in un’epoca di simboli universali. Bin Laden, come prima di lui il Word Trade Center, era un simbolo. Ma come proprio le torri gemelle insegnano, si possono abbattere i simboli, ma non ciò che simboleggiano. L’America non è stata distrutta per la distruzione dei suoi più famosi grattacieli. Il capitalismo non è crollato perché la sua piazza più importante è stata colpita. Perché per Bin Laden dovrebbe valere il contrario? Cosa c’è di così eclatante da festeggiare? Morto un simbolo non ci rendiamo conto che ciò che ci resta in mano sono solo poche ossa, rimpiazzabili da altre ancora tenute insieme da muscoli e da un cuore pulsante?
È morto Bin Laden. “Mm…bene”.
Otaria Volante Rosa