DIO PIL

Scrive il grande economista Giorgio Fuà nell’introduzione al suo “CRESCITA ECONOMICA Le insidie delle cifre” (il Mulino 1993): “Le cifre del reddito nazionale – che cinquant’anni fa interessavano solo uno sparuto numero di specialisti – sono oggi argomento quotidiano per il grande pubblico. E’ divenuto uso comune riferirsi ai livelli di reddito pro capite per giudicare se e quanto un paese “stia meglio” di un altro; e guardare il tasso di crescita (in termini reali) del reddito stesso come indicatore della rapidità con cui un paese riesce ad avanzare sulla via del “Progresso”. Il successo di popolarità ottenuto da queste misure statistiche della crescita è tuttavia inquinato dal fatto che in molti casi coloro che ne fanno uso attribuiscono a tali dati un significato ed una validità diversi da quelli che realmente possiedono. Ne consegue un duplice danno, perché con l’impiego acritico delle statistiche si acquista un patrimonio di certezze vasto bensì ma falso, mentre si perdono di vista le indicazioni – limitate ma comunque utili – che si potrebbero ricavare utilizzando con discernimento le statistiche stesse.”

Così il PIL è diventato una divinità di cui siamo bigotti adoratori, ma sarebbe ora di dire basta.

Il livello del PIL pro capite e il suo tasso di variazione nel tempo sono dati importanti per le imprese produttrici di beni e servizi, e a queste soprattutto dovrebbero interessare. Infatti, se il PIL pro capite avrà raggiunto determinate dimensioni, si potrà verificare in quel sistema economico la domanda di certi beni e servizi; se il PIL pro capite crescerà a ritmi elevati questo crescente potere d’acquisto si rivolgerà a beni e servizi nuovi o si tradurrà in una domanda più sostenuta dei beni e servizi già esistenti. Questo è ciò che accade nei sistemi economici ricchi; ma un più alto livello di PIL pro capite e un sostenuto tasso di crescita non indicano affatto che nel sistema economico dove ciò si verifica le condizioni di benessere materiale stiano migliorando, potrebbe anzi essere vero il contrario. Ed è precisamente ciò che sta accadendo nella maggior parte dei sistemi economici ricchi.

Se nel nostro sistema economico si mangia più del necessario, e il cibo non indispensabile così consumato ci costringerà a ricorrere al medico per avere cure e medicine per rimediare ai danni di questa eccessiva alimentazione, l’intera operazione avrà provocato un aumento del PIL pur avendo causato inutili sprechi e danni alla salute. Infatti le spese per il consumo di alimenti eccedente il necessario, per le cure mediche, per le medicine, saranno conteggiate come altrettante voci positive nel calcolo del PIL (e quindi anche del PIL pro capite).

Se l’efficienza dei trasporti pubblici si riducesse ulteriormente anche a causa del crescente traffico automobilistico privato, non resterebbe che aumentare la densità degli autoveicoli circolanti in rapporto alla popolazione. I maggiori acquisti di auto e carburanti farebbero crescere il PIL, e indurrebbero una ulteriore crescita del PIL anche le più frequenti malattie legate all’inquinamento, attraverso maggiori spese mediche, più frequenti degenze ospedaliere, maggiori spese per medicine e protesi legate alle conseguenze del maggior numero di incidenti causati dall’accresciuto numero di autoveicoli circolanti.

Per contro, in un Paese molto povero, politiche agricole appropriate per far uscire il Paese dall’estrema povertà potrebbero far aumentare la produzione dell’alimento base facendone scendere il prezzo. Così, la famiglia che avesse ricavato dalla coltivazione del suo campo 10 quintali di alimento base (pari a un reddito monetario di 1000), nell’ipotesi che potesse produrne 15 quintali (e il prezzo di mercato scendesse da 100 a 60-70 al quintale) potrebbe trovarsi con un reddito monetario addirittura inferiore o di poco superiore (900-1050) pur essendo le condizioni di vita di tutti sicuramente migliorate perché tutti nella nuova condizione potranno mangiare di più di ciò che avranno coltivato e chi non lo coltiva potrà comprarne di più grazie alla diminuzione del prezzo indotta dalla maggior quantità prodotta.

Che cosa significa tutto ciò? Semplicemente che dobbiamo cessare di considerare i dati relativi al PIL i soli rilevanti per capire le condizioni di vita dei cittadini, ma guardare ad altri indicatori che ci permettano di farlo meglio liberandoci dall’asservimento al Dio PIL. Eccone un esempio:

Tabella 1 Mutamenti nelle condizioni di vita e della capacità competitiva dei principali Paesi

Popolazione in milioni di abitanti negli anni:

1960 2009

I 32 PAESI del mondo con almeno 40 milioni di abitanti nel 2009 Durata vita media in anni

(maschile più femminile : 2)

1960(+)=2009

Adulti alfabetizzati:

valori in % (anno)

1960 2009

Quote percentuali (miliardi di $ correnti) delle ESPORTAZIONI mondiali detenute da ciascun Paese nell’anno:

1950 1970 1990 2009

(59,9) (298,8) (3405) (12378,5)

658 1346 CINA 64 (1980) 74 66 (1977) 94 0,92 0,77 1,82 9,71
96 231 INDONESIA 41 (+ 30) = 71 39 91 1,34 0,37 0,75 0,97
94 128 GIAPPONE 68 (+ 15) = 83 98 100 1,38 6,46 8,45 4,69
35 86 VIETNAM 43 (+ 32) = 75 87 (1977) 92 0,13 — — 0,46
26 68 THAILANDIA 52 (+ 17) = 69 68 94 0,51 0,24 0,68 1,23
25 48 COREA del Sud 54 (+ 26) = 80 71 100 0,02 (1955) 0,28 1,91 2,92
934 1907       4,30 totale ESTASIA 19,98
120 142 RUSSIA 68 (- 1) = 67 99 99 URSS fino al 1991 1,12 (1992) 2,45
28 73 TURCHIA 51 (+ 22) = 73 38 89 0,44 0,20 0,38 0,82
73 82 GERMANIA 70 (+ 10) = 80 99 (1977) 100 3,33 11,46 12,04 9,05
46 65 FRANCIA 70 (+ 12) = 82 99 (1977) 100 5,15 5,98 6,36 3,84
52 62 REGNO UNITO 71 (+ 9) = 80 99 (1977) 100 10,56 6,50 5,44 2,88
50 60 ITALIA 69 (+ 12) = 81 91 99 2,01 4,42 5,00 3,29
31 47 SPAGNA 69 (+ 12) = 81 87 98 0,65 0,80 1,63 1,78
43 46 UCRAINA 68 (+ 1) = 69 99 100 URSS fino al 1991 0,21 (1992) 0,32
443 577       22,14 (*) totale EUROPA 24,43
186 307 USA 70 (+ 10) = 80 98 99 17,17 14,28 11,56 8,54
73 191 BRASILE 55 (+ 18) = 73 61 90 2,27 0,92 0,92 1,24
37 110 MESSICO 58 (+ 19) = 77 65 93 0,89 0,47 1,20 1,86
17 49 SUDAFRICA 53 (- 1) = 52 57 89 1,93 1,12 0,69 0,51
16 45 COLOMBIA 53 (+ 21) = 74 63 93 0,66 0,24 0,20 0,26
21 40 ARGENTINA 65 (+ 11) = 76 91 98 1,97 0,59 0,36 0,45
350 742       24,89 totale COLONIE BIANCHE 12,86
442 1161 INDIA 43 (+ 22) = 65 28 66 1,91 0,68 0,53 1,33
50 181 PAKISTAN 43 (+ 24) = 67 15 54 0,82 0,13 0,16 0,14
51 162 BANGLADESH 37 (+ 30) = 67 22 55 con PAKISTAN fino al 1971 0,05 0,10
28 92 FILIPPINE 53 (+ 19) = 72 72 94 0,55 0,35 0,24 0,31
22 74 IRAN 50 (+ 22) = 72 16 82 1,17 0,80 0,57 0,63
22 50 MYANMAR 44 (+ 18) = 62 60 92 0,23 0,036 0,0095 0,05
42 155 NIGERIA 39 (+ 10) = 49 15 60 0,42 0,41 0,40 —
23 79 ETIOPIA 36 (+ 20) = 56 15 (1977) 36 0,06 0,04 0,0088 0,012
28 78 EGITTO 46 (+ 25) = 71 26 66 0,84 0,26 0,08 0,19
15 66 CONGO (Zaire) 40 (+ 8) = 48 31 67 0,44 0,09 0,03 —
10 44 TANZANIA 42 (+ 15) = 57 10 73 0,11 0,09 0,012 0,019
11 43 SUDAN 40 (+ 19) = 59 13 69 0,16 0,10 0,011 0,06
744 2185       6,71 totale AFRO-ASIATICI 2,84
2471 5411 Popolaz. totale     58,04 (*) TOTALE ESPORTAZIONI 60,11
3024 6792 Pop. mondiale     100,00 ESPORTAZIONI MONDO 100,00
        (*) URSS esclusa (stima del 2,5% circa)

Fonte dei dati: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, vari anni

I 32 sistemi economici più popolosi della Terra (che contano per i quattro quinti della popolazione mondiale e i tre quinti delle esportazioni mondiali) sono fortemente rappresentativi della totalità dei Paesi del mondo e sono stati raggruppati in quattro aree relativamente omogenee suddividendoli in:

– ESTASIA sistemi economici che promettono bene quindi CRESCENTI (con l’eccezione dell’Indonesia che produce ed esporta soprattutto materie prime), che fino a ieri furono poverissimi o relativamente poveri; la sua popolazione è più che raddoppiata passando da 934 a 1907 milioni;

– EUROPA sistemi economici ricchi o non troppo poveri ma STAGNANTI, con l’eccezione di quelli “mediterranei” (Italia, Spagna, Turchia) che denotano un superiore dinamismo rispetto agli altri; la sua popolazione è aumentata soltanto del 30% passando da 443 a 577 milioni;

– COLONIE di popolamento bianco economicamente DECLINANTI, alcune fino a ieri tra i sistemi economici più ricchi del mondo o comunque ricchi, domani chissà; la sua popolazione è quasi raddoppiata passando da 350 a 742 milioni;

– AFRO-ASIATICI sistemi economici poveri o poverissimi CON MODESTE SPERANZE DI RISCATTO, forse con l’eccezione del “mediterraneo” Egitto, dell’Iran e delle Filippine; la sua popolazione è quasi triplicata in Asia passando da 615 a 1720 milioni e quasi quadruplicata in Africa passando da 129 a 465 milioni.

Una prima osservazione che si può fare riguarda le dinamiche demografiche: anche con una popolazione crescente – ci dicono i dati relativi ai Paesi dell’Estasia – le condizioni di vita possono migliorare, sebbene una crescita prorompente come quella asiatica, e soprattutto quella africana, possa essere causa di seri problemi e costituire un freno alla diffusione in quei Paesi del benessere materiale.

La speranza di vita alla nascita (durata media della vita), pur essendo ovunque migliorata (con le vistose eccezioni di Russia, Sudafrica e Ucraina), ha conosciuto i maggiori miglioramenti in Estasia, avvicinandosi ai dati dell’Europa, che erano tuttavia molto favorevoli già nel 1960.

Anche i paesi afro-asiatici hanno conseguito notevoli miglioramenti, ma partendo da dati molto più sfavorevoli nel 1960.

Il progresso nell’alfabetizzazione degli adulti è stato ovunque notevole, ma il fatto che vi siano Paesi dove gli adulti analfabeti superino ancora il 40% della popolazione – come in Pakistan, Bangladesh, Nigeria ed Etiopia (64%) – li rende poco permeabili alla diffusione di qualsiasi misura tesa a diffondere tecnologie più produttive e abitudini di vita più salubri.

La capacità concorrenziale dispiegata dai Paesi dell’Estasia non ha avuto eguali: la quota delle esportazioni mondiali detenuta dai soli 6 paesi elencati è quasi quintuplicata passando dal 4,30% del 1950 al 19,98% del 2009. L’Europa ha mantenuto le proprie già rilevanti posizioni (un quarto delle esportazioni mondiali), mentre le colonie di popolamento europee hanno dimezzato il loro peso passando da un quarto a un ottavo delle esportazioni mondiali. I Paesi più poveri, pur partendo da posizioni modestissime (6,71% nel 1950), le hanno ulteriormente peggiorate (2,84% nel 2009).

Un dato importante per capire quali possano essere le capacità produttive potenziali di un Paese è dato dalla sua capacità di produrre energia elettrica; occorre quindi per questo esaminare in primo luogo la potenza elettrica installata in termini assoluti (in milioni di kW) e pro capite (kW/abitante). Il numero degli utenti, l’estensione territoriale, la fascia climatica e i livelli di vita prevalenti sono gli elementi che ne giustificano e determinano la dimensione quantitativa.

Tabella 2 Classificazione dei Paesi in base alla potenza elettrica installata in milioni di kW Dati relativi al 2009. Vengono poi indicati in termini pro-capite:

potenza elettrica installata in kW/ab. e consumo annuo medio in kWh/abitante

1 USA 995      3,241       13616

2 CINA 716     0,532      2328

3 GIAPPONE 279 2,180 8475

4 RUSSIA 221 1,556 6338

5 INDIA 159 0,137 543

6 GERMANIA 133 1,622 7185

7 Canada 125 3,676 16995

8 FRANCIA 116 1,785 7573

9 ITALIA 105 1,750 5718

10 BRASILE 100 0,524 2154

11 SPAGNA 89 1,894 6296

12 REGNO UNITO 84 1,355 6142

13 COREA del SUD 73 1,521 8502

14 MESSICO 56 0,509 2028

15 Australia 54 2,425 11216

16 UCRAINA 54 1,174 3539

17 IRAN 47 0,635 2325

18 SUDAFRICA 43 0,878 5013

19 TURCHIA 41 0,562 2210

20 Taiwan 41 1,773 10216

21 Arabia Saudita 37 1,439 7236

22 Svezia 34 3,637 15238

23 Polonia 32 0,839 3662

24 Norvegia 30 6,175 24997

25 ARGENTINA 29 0,725 2658

26 THAILANDIA 28 0,412 2157

27 INDONESIA 28 0,121 564

28 Paesi Bassi 24 1,448 7099

29 Venezuela 23 0,798 3078

30 EGITTO 23 0,295 1468

33 PAKISTAN 19 0,105 475

42 FILIPPINE 16 0,174 592

45 COLOMBIA 13,242 0,297 940

46 VIETNAM 12,637 0,147 728

…………………………..

?? BANGLADESH 5,245 0,032 144

?? MYANMAR 1,413 0,028 95

?? NIGERIA 5,898 0,038 137

?? CONGO 2,443 0,037 97

?? SUDAN 1,061 0,025 94

?? TANZANIA 0,957 0,022 83

?? ETIOPIA 0,814 0,010 40

Guardando con attenzione questi dati si potrebbero fare molte utili considerazioni, che tuttavia esulerebbero dal tema di questo breve scritto.

Vorrei soltanto osservare che comparando i consumi elettrici degli Stati Uniti a quelli della Germania (Paesi dove le condizioni di vita materiale sono mediamente simili) è legittimo sospettare che vi sia negli Stati Uniti uno spreco energetico che caratterizza gli stili di vita di quel sistema economico, incurante dei danni provocati all’ambiente e irrispettoso dei diritti delle generazioni future.

Inoltre, può essere sorprendente constatare che Paesi così diversi come IRAN (0,635), TURCHIA (0,562), CINA (0,532), BRASILE (0,524), MESSICO (0,509), THAILANDIA (0,412) possano essere posti quasi sullo stesso piano in termini di dotazioni energetiche – ben lontani da COLOMBIA (0,297) o EGITTO (0,295) e ancora di più dall’INDIA (0,137) – ma basterà guardare gli altri dati proposti nella Tabella 1 per constatarne la coerenza.

Vorrei quindi limitarmi a dire che i dati espressi in quantità fisiche o comunque non monetarie sono sempre più significativi e preferibili a quelli di natura monetaria, con una possibile eccezione relativa ai dati sul commercio con l’estero, perché soggetti a un duplice controllo, essendo le esportazioni di un Paese pari alle importazioni da quel Paese di tutti gli altri Paesi del mondo; vi è quindi la possibilità di controllare due volte lo stesso dato che diviene così più sicuro e fondato.

Per giudicare l’andamento delle economie di questi 32 Paesi così rappresentativi nel corso di mezzo secolo non abbiamo quindi fatto ricorso ai soliti dati economici, quali ad esempio i livelli di spesa rappresentati dal reddito nazionale e dai suoi tassi di crescita in termini assoluti e pro capite, ma abbiamo invece considerata la durata della vita media (dato sintetico che racchiude e riassume in sé una quantità di altri indicatori economici e sociali come meglio non si potrebbe) e un importantissimo “consumo” sociale che è nel contempo il più importante investimento nelle risorse umane di ciascun Paese, e cioè il grado di alfabetizzazione degli adulti.

Come si può vedere, non occorre fare ricorso ai dati relativi al DIO PIL per capire quali siano le condizioni di vita e di benessere materiale prevalenti in un Paese e le sue potenzialità produttive …

Gianni Fodella

1 commento

  1. Su segnalazione di Gianni Fodella:

    Scrive il Premio Nobel per l’economia Amartya Sen nell’articolo “Cina e India non crescono di solo Pil” pubblicato Domenica 15 maggio 2011 ne “Il Sole 24ORE” pp.2-4:
    “… è sciocco concentrarsi solo sui dati del Pil senza confrontare i due Paesi sotto altri aspetti, come l’istruzione, l’assistenza sanitaria di base o l’aspettativa di vita: la crescita economica può certo essere di grande aiuto nel migliorare gli standard di vita con la sconfitta della povertà, ma la crescita del Pil non andrebbe comunque vista come fine a se stessa, bensì come un mezzo per raggiungere gli obiettivi che riteniamo importanti … se è vero che la crescita del Pil è importante per le condizioni di vita, il suo impatto concreto dipende in larga misura da come vengono impiegate le risorse in più …”

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