Qualcuno ha calcolato che i paesi arabi ‘svegliati dalla rivoluzione’ avranno bisogno a breve di 18 milioni di nuovi posti di lavoro; che i tassi di sviluppo attuali, attorno al 6%, non basteranno; che straordinariamente difficile sarà dare lavoro ai giovani con diploma o laurea; che certe regole le fisserà il mercato globale. L’insurrezione del 2011, anche dove sembra avere vinto, non è finita: è appena cominciata. Conseguire la democrazia all’occidentale è obiettivo marginale, anzi irrilevante. L’obiettivo vero è la creazione/distribuzione della ricchezza. Chi creerà lavoro per 18 milioni? Non gli investitori internazionali; avranno molti motivi per declinare. In genere amano aprire shopping centers e poli logistici, però là dove i mercati ci sono.
Non è utile immaginare, quali protagonisti dendispensabile balzo in avanti delle economie arabe, le classi imprenditoriali locali. Gli operatori piccoli sono incapaci di moltiplicare posti di lavoro non precario nel mondo industrializzato. Ancor meno potranno fare nei paesi arabi.
Qui le leve economiche sono più che altrove nelle mani dei governanti, cioè in genere dei militari, effettiva classe di governo. A loro spetta in ultima analisi il merito della modernizzazione e accelerazione produttiva realizzate nello scorso cinquantennio. Se i militari sono stati i decisori, e se tengono il potere anche là dove si crede abbia vinto la democrazia delle urne, è più che mai pertinente capire che economia vogliono, loro e i politici che surrogano o controllano.
I militari sono al potere perché colsero meglio dei notabili tradizionali le opportunità offerte dalla decolonizzazione. Data l’arretratezza dei loro paesi, in genere si ispiravano a un modello socialista modificato e collegato a spinte terzomondiste. Si parlò di ‘socialismo arabo’. I suoi promotori si sforzarono di dimostrarne la consonanza al Corano (la laicità, qui, è una ipotesi speranzosa dei laicisti occidentali; ancora oggi, che la fede si indebolisce, coinvolge solo piccole minoranze). Il Corano vuole sacro il diritto di proprietà, ma lo mitiga col dovere della solidarietà. Se oggi l’islamismo sembra in ascesa è in quanto ripropone, fallito il marxismo e malato o svogliato il capitalismo, la religione come scaturigine di spirito sociale. La congiunzione tra potere militare e mobilitazione islamista promette che si realizzino vasti programmi in qualche misura caratterizzati in senso sociale.
Il nasserismo -in Egitto ma non solo- fece con le riforme agrarie e le nazionalizzazioni corposi esperimenti di socialismo agrario-industriale. Poi i limiti e le difficoltà prevalsero, e il socialismo dei militari è diventato puro regime, con la conseguente corruzione. Oggi i militari gestiscono, direttamente o attraverso burocrati e fiduciari, istituzioni, organismi, conglomerati economici, persino ospedali. Non è probabile sappiano moltiplicare i posti di lavoro senza fatti nuovi, ardui da realizzare per i governi ma del tutto inconcepibili per l’iniziativa privata, anche internazionale, se le finalità sono almeno in parte sociali. Tra i fatti nuovi ci sarebbe a breve l’attacco alla corruzione, ai privilegi e ai redditi più elevati. Si libererebbero risorse non sterminate ma significative per progetti produttivi.
A termine medio-lungo si prospettano programmi ambiziosi quali la valorizzazione del sole e del vento per raggiungere a bassi costi energetici i laghi d’acqua profondissimi individuati in particolare nella regione libica e limitrofa, ma forse localizzabili in altre regioni. Ovviamente strappare aree al deserto non allargherà solo le superfici coltivabili, ma lancerà altri comparti.
Si impongono dunque programmi connotati in senso solidaristico, i quali non possono che richiamarsi sia alle origini del socialismo arabo, sia ai profili sociali del messaggio islamico. Una nuova sinergia tra statalismo socializzante e religione incontrerà senza dubbio difficoltà, in prima linea per il sabotaggio degli occidentalisti più combattivi, magari sobillati dall’esterno. E’ però difficile che le destre moderniste siano in grado di proporre più iniziativa privata. Le urgenze sono tali, e lo stato di salute del capitalismo occidentale così dubbio, che più promettente apparirà il ritorno agli spunti semicollettivistici della decolonizzazione del messaggio islamico. In altre parole: ritroverà senso il socialismo coranico. Forse.
Anthony Cobeinsy