LA GERMANIA RITORNA ALL’ETICA ANTICA DI WITTEMBERG

Dopo la caduta di due potenti a Berlino

Le impressionanti dimissioni di Karl-Theodor zu Guttenberg, forse il più brillante dei politici tedeschi d’oggi, pronosticato successore di Angela Merkel, non solo da ministro della Difesa ma anche da deputato al Bundestag, sarebbero meno significative se non fossero seguite di pochi mesi alle dimissioni di Horst Koehler da capo dello Stato germanico.

Tralasciamo che le due dimissioni obbligano a confronti crudeli col costume politico di altri paesi, primo il nostro. Guttenberg ha lasciato una posizione di vertice per aver copiato da altri parte di una propria tesi di dottorato. Non gli è bastato rinunziare pubblicamente, come ha fatto, a una qualificazione accademica parzialmente indebita: il ministro della Difesa ha giudicato di non poter sostenere più a lungo la deplorazione di ambienti quali quello universitario. Soprattutto un caso di coscienza individuale, dunque.

Solo apparentemente politica, in senso tradizionale, l’occasione del ritiro di Koehler. Ha dovuto dimettersi da presidente della Repubblica pochi giorni dopo avere sostenuto, in un discorso ai reparti germanici operanti in Afghanistan, che la Germania è in quel conflitto (nel quale si uccidono anche i bambini) per non pregiudicare i propri interessi di nazione grande esportatrice. La condanna dell’opinione pubblica, immediata e corale, non ha lasciato scampo al Bundespraesident. La storia della Germania moderna è tale da non permettere più che la guerra -una guerra altrui, oltre a tutto- trovi giustificazioni. Troppo atroci i drammi provocati e sofferti dalla Germania.

Lacerante il confronto con l’Italia. Qui pochi mesi fa il capo dello Stato ha potuto affermare che la guerra nell’Afghanistan “è giusta”, e quasi tutti gli italiani hanno lasciato fare. Hanno permesso al nominale rappresentante della nazione, dunque anche di me e di voi, di affermare il contrario della verità. Come fossimo ai tempi infami del machiavellismo quotidiano. Beata Germania, non ha avuto che pochissimo Rinascimento, nessun papa erotomane e quasi nessun Cesare Borgia. I suoi letterati ‘rinascimentali’ sono stati ininfluenti, le sue donne più celebri non furono promosse da troie a dame. La guerra d’Afghanistan non è giusta, ma gli italiani non si curano. Facevano così persino nei tempi gloriosi della repubblica di Mario e Silla.

Koehler e Guttenberg, in quanto politici di carriera, potrebbero avere scheletri nei loro armadi. La pubblica corruzione, pur tanto inferiore alla nostra, non è sconosciuta a Berlino, ossia in un grande contesto economico nel quale ingente è il ruolo dei poteri pubblici. Se un giorno i due importanti dimissionari si riveleranno anch’essi corrotti -non possediamo elementi in tal senso- i molti riferimenti all’etica nazionale che seguono in queste note risulteranno sbagliati. Fino a prova del contrario i due restano testimoni onorevoli di una verità che per secoli prima del nazismo – autentico Golgota dell’anima tedesca- era stata contestata da pochi e con poco fondamento: essere i tedeschi il più etico dei popoli che hanno fatto la grande storia.

Senza risalire a Tacito, la Riforma rivelò la vocazione germanica alla legge morale. Quale che sia stato l’impulso personale di Lutero, fu il contesto tedesco a determinare la rivolta contro le degenerazioni romane (nel piccolo, anche avignonesi cioè francesi). Il destino spirituale della nazione fu segnato per sempre dalle tesi aurorali affisse a Wittenberg da Lutero, frate agostiniano. Fino all’irrompere dell’Illuminismo l’intera vicenda nazionale fu innervata da quella specifica ispirazione religiosa che fu il Pietismo, affiorato agli inizi del Seicento. Ancora nel 1755, in piena asserzione (a livello intellettuale e non popolare) dell’Illuminismo, un dramma sentimentale di Lessing, il maggiore illuminista tedesco, marcava il rifiuto delle componenti libertine e scettiche dell’ideologia dei lumi. Ideologia, peraltro, impegnata più che altrove, attraverso il confronto coll’insegnamento pietistico, a conseguire traguardi essenzialmente morali. La risposta veemente al materialismo razionalistico venne da pensatori tedeschi di formazione luterana. Quando apparve Johann Gottfried Herder, che da Kant aveva derivato spunti anti-illuministici, si delineò più netto l’antagonismo alle suggestioni razionalistiche spinte.

Col farsi più invasivi gli spiriti scettici e mondani che venivano da Parigi, il pontifex maximus Wolfgang Goethe alzò la sua voce per condannare quanto meno quello ‘spirito affaristico del Termidoro’ che allora -oggi no- negava direttamente gli intimi precetti di probità della piccola borghesia colta di Germania, ancora saldamente ancorata ai valori luterani e pietistici. Il Termidoro presente potrebbe vincere la partita ma c’è speranza.

Tornando ai due potenti da poco caduti a Berlino, può valere la pena di ricordare che il dramma Wallenstein di Schiller additò in chiave tragica il crollo che può lacerare il tessuto etico dell’uomo di successo. Sembra marchiare il presidente federale che motivava la guerra per conto terzi con gli imperativi dell’export, quell’altro dramma schilleriano Kabale und Liebe. Condannava duramente uno dei principi tedeschi, il quale vendeva i suoi sudditi per le guerre oltreoceano di un sovrano straniero. Alcuni termini sono cambiati rispetto al 1784 del Kabale, ma la sostanza della denuncia schilleriana è perfettamente attuale duecentoventisei anni dopo, allorquando il potere berlinese per bocca di Koehler attentava alla legge morale nell’interesse di Mammona. Nella fase odierna, in cui la Germania è tentata di identificarsi nella possanza e sapienza della sua macchina produttiva, la logica ultima dell’economicismo è il massimo dei pericoli per l’anima tedesca.

Osservò uno storico della letteratura, Marino Freschi, che tra il Reno e il Baltico il teatro politico è stato per secoli “la denuncia urlata della miseria tedesca”. Oggi la “miseria tedesca” è soprattutto l’oltraggioso benessere che a molti consente di andare all’ufficio con auto da 300, persino 500 cavalli. Nel 1914 il motore del caccia di Richtofen superava di poco i 100 cavalli. E nel 1802 Friedrich Hoelderlin, uno dei massimi lirici dei tempi moderni, viaggiò da Bordeaux al suo domicilio tedesco a piedi. A piedi era andato a Lubecca J.S.Bach per ascoltare il grande organista Buxtehude. I successi materiali della Germania minacciano lo spirito assai più che, altrove, i tagli alla cultura. Adesso come ai giorni di Schiller si profila una scissione micidiale tra i valori del successo e quelli della gente comune che cantava i corali di Lutero.

La legge morale ci riporta ancora a Koehler e a Guttenberg. E’ la legge cui essi sembrano avere obbedito. Così vi obbedirono, nelle circostanze più tragiche in assoluto, i 150 congiurati che pagarono con la vita per aver tentato di abbattere Hitler il 20 luglio 1944. Non sapremo mai quanti di loro avevano davvero sperato di salvarsi; cioè quanti, senza tale speranza, si sarebbero negati alla congiura. Morirono due feldmarescialli, Rommel e von Witzleben, e un grosso manipolo di generali di rango. Gli altri erano tutti esponenti dello strato superiore della società tedesca, l’alta nobiltà in prima linea. Persero la vita uomini e donne per il fatto d’essere parenti stretti di congiurati. I 150 scelsero, invece che la ragione e l’istinto di sopravvivenza, la coerenza coi principi che per oltre quattro secoli dalla ribellione di Lutero erano stati al cuore dell’etica germanica.

Uno di essi si chiamava Ludwig Freiherr zu Guttenberg. Il fatto che nel 2011 un uomo del suo sangue abbia osservato la stessa legge -pur in circostanze che al confronto sono quasi giocose- conferma il nostro assunto iniziale. Forse in terra tedesca la coscienza parla con voce più alta.

Antonio Massimo Calderazzi